Il caso di specie trae origine dall’ordinanza-ingiunzione emessa dal Direttore dell’Ispettorato del lavoro della provincia autonoma di Bolzano ai danni della proprietaria di un immobile a seguito di un’ispezione della Guardia di Finanza durante la quale erano state rinvenute alcune persone intente ad espletare lavori di pulizia e riassetto dei locali ed in relazione alle quali erano state riscontrate violazione delle norme sulla tutela del lavoro.
Decidendo sull’impugnazione della donna, la Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Bolzano, aveva dichiarato la nullità della predetta ordinanza-ingiunzione.
In particolare, la Corte territoriale aveva negato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e le due lavoratrici, trattandosi di rapporti sporadici ed occasionali, di durata limitata (56 ore per ciascuna lavoratrice nel periodo suindicato), connessi alla natura turistica dell’immobile ed alle esigenze della clientela ed in relazione ai quali mancava un diretto controllo da parte della committente, residente in altra località.
In definitiva, la Corte territoriale aveva ritenuto che mancassero gli indici della eterodirezione, essendo piuttosto emersa dall’istruttoria un’autonoma organizzazione da parte delle lavoratrici, salvo che per la scelta del giorno settimanale in cui rendere le rispettive prestazioni, oltre alla saltuarietà delle prestazioni stesse, connesse all’afflusso eventuale degli ospiti.
Investita della questione, la Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 21023 del 16 ottobre 2015, ha confermato appieno quanto disposto dal giudice dell’appello.
Nella premessa, gli ermellini hanno ricordato come, secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, ogni attività umana economicamente rilevante possa essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento; orbene, l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa, mentre altri elementi, come l’osservanza di un orario, l’assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante. L’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (1).
Sul punto, la Cassazione ha poi sottolineato come i principi appena espressi appaiano rispettati nella sentenza in esame. La Corte territoriale, infatti, aveva esaminato il concreto atteggiarsi del rapporto per escluderne i caratteri della subordinazione. In particolare, aveva sottolineato – oltre all’esiguità delle ore lavorate nel periodo di tempo considerato (56 ore complessive tra il dicembre 2002 e il marzo 2003, pari a 3-4 ore settimanali) e alla mancanza di una retribuzione predeterminata, in quanto collegata al numero di ore effettivamente lavorate e riscontrabile solo ex post – la mancanza di prova dell’etero-direzione da parte della presunta datrice di lavoro, addirittura residente in altro loco; la mancanza di un potere di tipo gerarchico, esercitato con ordini o istruzioni (se non quelle generiche riferibili allo svolgimento di qualsiasi opera per conto terzi), e infine l’esistenza di un rischio, in capo alle lavoratrici, circa lo svolgimento della prestazione lavorativa e la percezione del compenso, in quanto variabile nel tempo e collegato all’effettivo esercizio della prestazione.
Sulla base di tutte le considerazioni predette, la Cassazione ha dunque concluso con il rigetto del ricorso proposto dall’Ispettorato del Lavoro, confermando così quanto disposto dalla Corte di Appello.
1) – cfr., ex plurimis, Cass., Sentenza n.23455 del 5 novembre 2009; Cass., ord., Sentenza n.9808 del 4 maggio 2011; Cass., Sentenza n.21031 del 1° agosto 2008; Cass., Sentenza n.7966 del 5 aprile 2006; Cass., Sentenza n.20669 del 25 ottobre 2004; Cass., Sentenza n.4682 del 2 aprile 2002.
Dott. Valerio Pollastrini
Consulente del Lavoro
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