a cura di Serena Ientile
Non si pongono i problemi di applicazione della norma in esame nemmeno nell’ipotesi del cosidetto “condominio minimo”, benchè la giurisprudenza più remota l’abbia più volte esclusa.
Nella disciplina del condominio in generale non rileva il numero dei partecipanti, se non in casi con determinati fini specifici, quali l’obbligatorietà dell’amministratore (art. 1129 c.c.) o del regolamento (art. 1138 c.c.). Considerato, infatti, che il regime del condominio negli edifici si instaura per legge nel fabbricato in cui esistono più unità immobiliari che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, le quali sono legate da una relazione di accessorietà per un certo numero di beni, impanti e servizi comuni, l’esistenza del condominio e l’applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero di persone che a esso partecipano.
Sino a qualche anno fa si dubitava che in tale situazione si potesse parlare di condominio, ma poi sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione affermando che, fondandosi il condominio sul principio della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti.
Anche nel condominio minimo deve trovare applicazione la disposizione sostanziale di cui all’art. 1134 c.c., diretta a impedire indebite e non strettamente indispensabili interferenze dei singoli partecipanti nella gestione del fabbricato comune riservata agli organi del condominio, essendo previsti delle norme processuali, applicabili ai condomini minimi, strumenti alternativi (art. 1105, quarto comma c.c.), al fine di ovviare alla eventualmente ingiustificata opposizione, o all’inazione delle controparti nella adozione e nell’esecuzione dei provvedimenti non urgenti, e tuttavia necessari per la conservazione e il godimento dell’edificio in condominio.
Nel caso in cui i due condomini non condividano le modalità di gestione dei beni e dei servizi comuni e dunque non riescano a deliberare le iniziative da assumere e le spese da affrontare, è evidente che le decisioni in questo caso devono essere assunte con l’unanimità dei consensi, talchè in difetto ciascuno dei due condomini potrà far ricorso all’autorità giudiziaria perchè assuma i provvedimenti necessari per l’amministrazione delle cose comuni, in applicazione del quarto comma dell’art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma applicabile al condominio per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.
Può verificarsi, infatti, che nel condominio minimo non si possa attuare in concreto la doppia maggioranza di teste e millesimi, qualora uno solo dei due condomini non sia d’accordo con la’latro. Escluso pertanto che uno solo di loro possa assumere la gestione delle parti comuni senza il consenso dell’altro (sotto pena dell’impossibilità di ottenere il rimborso delle spese sostenute), ciascuno di loro può ricorrere al tribunale e sollecitare l’intervento dell’autorità giudiziaria qualora, pur essendocene la necessità, non si prendano i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune.
A differenza di quanto accade per le delibere assunte in modo irregolare o comunque invalide, ove è data la possibilità alla minoranza dissenziente di impugnarle innanzi al giudice affinchè ne dichiari la nullità o l’annullabilità, nelle ipotesi previste dall’art. 1105 c.c. all’autorità giudiziaria viene richiesta di sopperire all’inerzia dell’amministratore o dell’assemblea nell’assumere i provvedimenti necessari per la gestione dei beni comuni e per l’erogazione dei servizi in favore dei due condomini.
Il quarto comma dell’art. 1105 c.c. dispone che l’autorità giudiziaria può anche nominare un amministratore. La nomina ha luogo quando qualsiasi provvedimento del giudice risulti insufficiente: è proprio il caso del condominio minimo quando le quote dei due condomini siano uguali e i due soggetti, con il loro disaccorso, sistematicamente impediscano atti di gestione.
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