Invito al Cinema propone “this must be the place” con Sean Penn

 

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THIS MUST BE THE PLACE (“Questo dovrebbe essere il posto”) è un film sulla storia, sulla famiglia e sulla crescita, ma anche un’ardita variazione del genere “road movie”. Racconta l’evoluzione di un’ex cantante “dark”, che sopravvive alla propria gloria arroccato nei suoi ricordi non sempre lieti e nel suo look d’altri tempi. E’ stata la band dei Talking Heads, capitanata da David Byrne, ad aver ispirato al 41enne regista napoletano Paolo Sorrentino la sua quinta opera cinematografica, dopo “Il Divo” (2008) e “Le conseguenze dell’amore” (2004); la prima della sua filmografia girata in lingua inglese. THIS MUST BE THE PLACE è, infatti, il titolo di una canzone della band del 1983, contenuta nell’album “Speaking in Tongues”, che anticipa buona parte della trama del film e il cui ritmo trascinante fa spesso da sfondo allo scorrere degli eventi: “And you’re standing here beside me/I love the passing of time/ Never for money/Always for love /Cover up and say goodnight . . . say goodnight/Home – is where I want to be/ But I guess I’m already there/I come home – she lifted up her wings/Guess that this must be the place“. (“E tu sei qui vicino a me/Amo lo scorrere del tempo/Mai per denaro/Sempre per amore/ Copriti ed augura la buonanotte/Casa – è dove voglio essere/ Ma mi sa che ci sono già/ Vengo a casa – lei ha sollevato le ali/Sento che questo dovrebbe essere il posto“).

Cheyenne (uno strepitoso Sean Penn) ebreo, cinquantenne, ex rockstar (occhi bistrati, cerone bianco, rossetto vermiglio, capelli cotonati, un po’ come Robert Smith del gruppo musicale dei Cure), si è ritirato da anni dalle scene e dalla vita pubblica, e vive insieme alla sua compagna Jane (Frances Mc Dormand) in una grande villa a Dublino, da dove vede scivolare via la sua vita, afflitto da una depressione mista a noia di vivere. La morte del padre, con il quale non aveva più alcun rapporto, lo spinge a tornare a New York. Qui, attraverso la lettura di alcuni diari, mette a fuoco la vita del padre negli ultimi trent’anni, anni dedicati a cercare ossessivamente un criminale nazista rifugiatosi negli Stati Uniti per vendicarsi di un’umiliazione subita quando era prigioniero nel campo di concentramento di Auschwitz. Cheyenne decide di proseguire la ricerca e inizia un viaggio attraverso gli Stati Uniti, che lo porterà ad  imbattersi in una serie di  incontri, dalla ragazza madre bisognosa di affetto agli sfrontati giocatori di ping pong in un bar sperduto, da un sedicente uomo d’affari con la fissazione per il proprio fuoristrada, ad una vecchia professoressa che usa un’oca come animale da guardia….

Cheyenne, rocker ormai in disarmo ma che un tempo fu celebre e di quella celebrità gode ancora i frutti economici, è un uomo che quotidianamente si trasforma in maschera. Quasi avesse bisogno di aggrapparsi a quel passato di gloria che ora non rinnega ma rifugge. Accanto a lui, da 35 anni, una donna solida che sa come essere sorridente argine alla sua pacata depressione. Al suo fianco un costante peso. Che sia il carrello della spesa o il trolley da viaggio (di cui sentirà magnificare l’innovatività creativa) Cheyenne si trascina dietro un bagaglio di situazioni irrisolte. Prima fra tutte la dinamica dei rapporti con la figura paterna. Cheyenne/John Smith é un essere umano che il padre ha creato e, al contempo, limitato trasmettendogli inconsciamente un’ossessione che il figlio scoprirà solo dopo la sua morte. Il “castello” in cui Cheyenne si è rintanato è il suo aspetto esteriore che al contempo lo lega al passato, ormai amato/odiato, e lo separa dal presente. E’ un uomo che fa di tutto per essere riconosciuto e, allo stesso tempo, nasconde con tutti la propria identità. Gli manca una valida motivazione per portare avanti la propria esistenza e aspetta quel qualcosa in grado di dare un senso ai giorni passati nella totale apatia. E’ un personaggio che, anche se lo nega (“Non sto cercando me stesso. Sono in New Mexico non in India”) compie un lungo viaggio per ri/trovare un posto dentro di sé. Ha scritto il critico cinematografico Roberto Escobar (“L’Espresso”):  “A cinquanta e più anni Cheyenne è un bambino. Come un bambino guarda il mondo: con sorpresa, ad occhi spalancati. Ma, ancora come un bambino, del mondo riesce a vedere quello che uno sguardo più disincantato non vedrebbe. Fra questi due estremi – fra un’ingenuità senza difesa e uno stupore incuriosito – si muove il protagonista di questo film ”.

THIS MUST BE THE PLACE ha partecipato in concorso all’ultimo Festival cinematografico di Cannes.

THIS MUST BE THE PLACE sarà proiettato Giovedì 26 Gennaio, in occasione dellaGiornata della Memoria” del 27 Gennaio per ricordare le vittime della Shoà, nell’ambito della  Rassegna cinematografica “Invito al cinema”, ad Anzio, presso il cinema Astoria, agli orari: 18,00 -20,15 – 22,30.