[sg_popup id=”106217″ event=”inherit”]di Eduardo Saturno[/sg_popup]

Uno stato di emergenza è una variazione improvvisa e limitata delle condizioni di vita ovvero una condizione di instabilità diversa dall’equilibrio di uno stato di normalità. Emergenza e normalità sono intrecciate tra loro e a volte capovolte nei tempi di durata. Un evento calamitoso costituisce un elemento di discontinuità del processo di evoluzione umana, che si traduce con la rottura del proprio bagaglio di identità e memoria. Un evento di questo tipo viene inquadrato e considerato nel proprio sviluppo complessivo, costituito temporalmente da un prima, un durante e un dopo, che impongono una gestione delle emergenze (Disaster Management) che sia in grado di sviluppare sia una cultura del soccorso quanto una progettualità in grado di definire in maniera scientifica i modi e le forme di intervento, secondo una visione complessiva del fenomeno.

Il Disaster Management risponde, in situazioni di emergenza, all’immediata necessità di dare una provvisoria sistemazione alla popolazione colpita e alle funzioni strategiche, sanitarie e produttive di prima necessità, infatti gli insediamenti temporanei sono una risorsa indispensabile quando si verificano eventi calamitosi che comportano un rischio elevato per la vita umana e per la perdita del tessuto edilizio, conseguenti a fenomeni naturali o per azione dell’uomo.

La definizione dei campi di accoglienza è riconducibile alla fase di preparazione, in cui viene operata l’analisi dei rischi per la conoscenza della vulnerabilità, e come tale intende proporre uno strumento costruito in condizioni
ordinarie per ottimizzare la risposta a un possibile evento calamitoso. La Legge 225 del 1992 definisce i criteri di programmazione del territorio e degli interventi secondo
linee d’intervento semplici e flessibili, definite da protocolli standard, sintetizzate nel Piano di Emergenza di Protezione Civile (L. n. 100/2012) con procedure distinte e proprie per ciascuna tipologia di rischio; tali procedure operative si trasmettono a tutti gli organi di comando e a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica, in quello che viene chiamato Metodo Augustus. La pianificazione di emergenza si ispira ai principi di semplicità e flessibilità: il piano di emergenza è un documento in continuo aggiornamento, che deve tener conto dell’evoluzione dell’assetto territoriale e delle variazioni negli scenari attesi. La ricerca della flessibilità degli spazi urbani, al fine di utilizzarli come strutture abitative in caso di eventi calamitosi, delinea un ambito che coniuga le problematiche
della pianificazione urbana con le problematiche legate all’emergenza; le regole del territorio devono confrontarsi con le variabili complesse che si innescano a seguito di un disastro.

Il metodo Augustus deriva dal nome dell’imperatore romano Ottaviano Augusto (65 a.C. – 14 d.C.) il quale affermava: “Il valore della pianificazione diminuisce con la complessità dello stato delle cose” e deriva dalla cultura pragmatica anglosassone che considera il territorio e la società come un organismo costituito da funzioni fisiologiche, ciascuna specializzata nel proprio settore e che svolge la sua attività ordinaria. Uno stato di emergenza viene visto come una malattia, che altera l’equilibrio dell’organismo, durante il quale tutte le funzioni concorrono per guarire il corpo colpito, le funzioni comunali, regionali, sanitarie cooperano al fine di ripristinare la situazione di normalità. Obiettivo del
Piano di Emergenza è quello di creare uno strumento che consenta alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni, e definisce l’insieme delle procedure operative di intervento per fronteggiare le calamità attese, la modalità di messa in atto delle procedure in caso di emergenza, le modalità organizzative della sala operativa per lo svolgimento delle attività di comando e controllo e la disposizione degli spazi e delle infrastrutture necessari alle attività di Protezione Civile.
Il Piano di Emergenza deve contenere inoltre le indicazioni, preliminarmente definite, per la
realizzazione degli insediamenti abitativi e individua l’ubicazione delle aree di attesa, di
ammassamento e di ricovero, che diventeranno i nuovi punti di riferimento per la popolazione sfollata. Tali aree devono rispondere a specifici requisiti: essere in zone non soggette a rischio, essere baricentriche rispetto all’insediamento, essere pronte all’uso -poiché è fondamentale il fattore tempo-, essere localizzate in prossimità di vie di comunicazione, essere abbastanza ampie e possibilmente pianeggianti, essere dotate di allacciamenti alle reti infrastrutturali, se utilizzabili, altrimenti alle reti di emergenza. Ed è proprio in relazione a questo ultimo punto che vorrei porre un paio di quesiti a chi ha redatto il Piano in questione.

1) Premesso che come indicato nel Piano comunale le aree di accoglienza sono le aree in cui verrà sistemata la popolazione costretta ad abbandonare la propria casa, per periodi più o meno lunghi a seconda del tipo di emergenza, come si giustifica l’assenza dell’apposita
cartellonistica come quella sotto indicata? Ad esempio in uno delle aree di accoglienza
prevista presso il Centro Sportivo Falasche (AR04) non esiste traccia di indicazioni come quella sotto indicata;

2) E’ normale che due aree di accoglienza codificate come AR01 ed AR02 (camping C.C.R. e
camping lido delle ginestre) siano state previste nei pressi di due campeggi non molto
distanti dal mare? La domanda si pone in quanto nel caso (remoto e da scongiurare) di evento sismico potrebbe originarsi un qualcosa simile ad uno tsunami con le conseguenze che si possono immaginare.
Per chi fosse interessato, il Piano di Protezione civile approntato dal Comune di Anzio è
consultabile accedendo via internet al link sotto indicato.
http://www.gpec.cloud/ssp3/servlet/dpec?ptok=l2ijs-3dFd34-eErRoO-023454-pwDfrGhKJCBSD-2dEgPPsd-lwo34Jf-lLcvnW-2134