Nuova puntata di approfondimento dedicato alla Comunicazione a cura di Eduardo Saturno
Come già detto ci possono essere due strategie nel dibattito per arrivare ad assumere il potere, una è di aumentare il proprio potere, l’altra diminuire il potere dell’altro e cioè di screditarlo. Siccome il dibattito è una comunicazione (potenzialmente) aggressiva in cui due o più oratori mirano a persuadere l’uditorio, un modo per guadagnare potere è diminuire il potere persuasivo dell’altro (screditarlo). Il dibattito è una situazione in cui ogni partecipante cerca di persuadere l’uditorio che lui ha ragione e che l’avversario ha torto, quindi deve dare un’immagine positiva di sé e soprattutto deve dare un’immagine negativa dell’avversario, questo si chiama discredito. Discredito vuol dire rovinare l’immagine di una persona. Per immagine intendiamo l’insieme di credenze valutative (e non) su una persona. Con valutazione intendiamo ogni credenza sul potere di un oggetto,
persona, evento rispetto a uno scopo. Noi possiamo avere valutazioni positive o negative su cose, persone, eventi. Fra le negative possiamo avere delle valutazioni di inadeguatezza (in cui c’è una mancanza di potere/io vorrei ma non posso) e di dannosità (situazioni in cui una persona ha del potere con cui potrebbe danneggiare qualcuno). Nel discredito fra i politici si è visto che ci sono tre criteri fondamentali: competenza, benevolenza, dominanza.
Per competenza pensiamo che quel personaggio politico abbia le conoscenze e le capacità per prendere le decisioni giuste, diversamente sarà stupido o ignorante. Se prendiamo il criterio della benevolenza ci chiediamo quanto quel politico faccia gli interessi degli elettori, quanto sia affidabile, onesto ed etico, se non lo è allora sarà disonesto e immorale. Il terzo criterio è quello della dominanza, un uomo politico pensiamo debba saper influenzare e imporre la propria volontà, quindi se non ha dominanza diremo che è un politico sottomesso, debole. In sostanza quando si valutano i politici si valutano per essere bravi, buoni, e forti.
Atti linguistici aggressivi
Gli atti linguistici definibili in quanto segnali di dominanza sono le minacce, la provocazione, la maledizione. Mentre i segnali di discredito comprendono la critica, l’accusa, l’insinuazione e l’insulto. A questo punto ci troviamo di fronte un universo di brutte parole. I modi in cui si possono aggredire gli altri con le parole sono tanti, e ci sono molte cose che si possono confondere ad esempio con l’insulto, il turpiloquio ovvero parole su aree tabù, le aree tabuizzate sono quelle aree semantiche di cui non si deve parlare e possono essere l’area della malattia, (brutto male/tumore) tutte quelle aree che entrano nella privacy di una persona (funzioni fisiologiche, area sessuale ecc). Si tratta di parole non di atti linguistici completi, come ad ex la maledizione. La maledizione è un ottativo, cioè un’espressione di desiderio che un certo X, che è un’entità terza dal nostro interlocutore, faccia avvenire qualcosa di brutto a V (vittima).
L’imprecazione invece esprime rabbia verso X, che reputo responsabile di un danno che mi è capitato (mannaggia/male ne abbia esprime un desiderio). La bestemmia è una maledizione o un insulto mandata ad un’entità terza soprannaturale (una divinità) per esprimere la nostra rabbia. Infine abbiamo l’insulto ovvero l’attribuire a V una proprietà negativa o inserirlo in una categoria degradante. La maledizione è un ‘espressione di un’emozione negativa, l’odio. Nella maledizione A fa appello ad un’entità esterna per far accadere qualcosa di male a B. Ma in questo modo A esprime indirettamente il desiderio di non avere più relazioni con B. L’imprecazione invece è un’espressione di rabbia non necessariamente verso una persona. Quindi A esprime rabbia quando è frustrato un suo scopo importante e si rivolge ad un’entità terza che ne considera responsabile.
L’insulto invece è un’espressione di disprezzo. È un atto comunicativo (o un non atto) deliberato di un Mittente M. Non atto perché posso anche insultarti non salutandoti quando ti incontro. Un’ omissione può dunque essere un insulto. L’insulto mira ad offendere un target T (persona, gruppo, istituzione, oggetto – Il simbolo di un’istituzione). L’insulto offende perché attribuisce a T una proprietà negativa e così predica la sua appartenenza a una categoria degradante, cioè ad un livello (sociale, morale, ecc) più basso di quella cui T professa di appartenere ed esprimendo cosi il disprezzo per T. Insultando esprime il suo disprezzo. Gli scopi dell’insulto è offendere, ovvero attaccare l’immagine, il target, di fronte ad altre persone; ma anche attaccare la sua autoimmagine, cioè quello che lui pensa di se stesso; e metacomunicare la propria intenzione di offendere, ti faccio cioè capire che era volontà mia offenderti.” Il colpo maggiore che l’insulto inferisce all’immagine dell’insultato, non è tanto nella pubblica svalutazione, ma nella pubblica volontà di insultare: nel non temere di aggredire, diminuire l’altro, nel mancargli di rispetto-riguardo” (Castelfranchi)
L’insulto
Gli insulti possono essere diretti o indiretti. Esistono altresì 2 tipi di indirettezza; quella sintattica (quando la proprietà negativa è presupposta (data per scontata) e non asserita in una frase informativa (non è data in un’informazione nuova). Es Di Maio demolisce le balle di Renzi / insulto indiretto. In modo diretto sarebbe stato Renzi dice balle e Di Maio le demolisce, in questo modo sto dicendo in modo diretto che Renzi è un bugiardo e lo dico nella frase centrale) ; una pragmatica (non c’è nulla scritto nella frase che sia cosi esplicitamente insultante ma l’insulto deve essere inferito/capito indovinandolo a partire dalla frase ex “faccio prima a saltarti che a girarti intorno” è un modo indiretto di proferire un insulto, che in modo diretto si esprimerebbe con “cicciona”). Oppure il non salutare è un’azione che fa inferire certe cose, ad esempio fa inferire non sei degno di rispetto. Esistono tre macro categorie di insulti che sono sempre: competenza, benevolenza e dominanza, all’interno delle quali è possibili individuare dei sottogruppi di insulti. All’interno della categoria competenza troviamo: capra, idiota, deficiente, non capisci nulla, sei un buono a nulla, imbecille.
Ma abbiamo anche altri insulti che riguardano la competenza ma da punto di vista della sanità mentale: tu non sei normale , stai fuori. Infine c’è un terzo sottotipo che riguarda l’adeguatezza sessuale: femminuccia, maschiaccio, sei frigida. Poi abbiamo gli insulti sulla benevolenza, Es bastardo, vigliacco, carogna, infame ed ancora insulti che riguardano la morale sessuale Es: sei una poco di buono. Infine abbiamo anche tre categorie sulla dominanza: patetico, ridicolo, non vali niente, non fai paura a nessuno, inutile; a questi si aggiungono quelli sulle abilità sociali: sei una palla al piede; oppure quelli esteticopercettivi: quanto sei brutto, sei un cesso, cozza ecc. Infine possiamo parlare di hate speech (incitamento all’odio). Quando l’insulto diventa qualcosa che non è più comunicazione, ma diventa l’incitare altri all’odio verso certe categorie sociali allora si parla hate speech. Questo termine implica una comunicazione che incita all’odio e alla discriminazione. Lo psicologo Bar-Tal che a proposito di questo ha elaborato la categoria della deumanizzazione. Tutte volte che si vuole perpetuare di discriminazione o di violenza verso gruppi razziali (ex ebrei venivano rappresentati come dei maiali) si arriva alla deumanizzazione perché non ti considero più un essere umano ma ti degrado ad una categoria inferiore, che è quella animale.