Dentro o fuori? Mario Draghi traslocherà al Quirinale?

Dentro o fuori?
Mario Draghi traslocherà al Quirinale? Molti lo pensano perché le elezioni presidenziali italiane di solito presentano più colpi di scena e svolte non plausibili di un’opera verdiana. L’ultima votazione,
in sostituzione del presidente Sergio Mattarella, inizierà il 24 gennaio. Nelle prossime settimane ci si può aspettare che i leader di partito scambino bluff e contro-bluff, facendo trapelare i nomi dei candidati verosimilmente da “bruciare”, ma tenendo segreta fino all’ultimo momento l’identità di
coloro che realmente prediligono. Il risultato conta: i presidenti italiani hanno il potere di sciogliere
i parlamenti e nominare i primi ministri. Rimangono in carica anche per un tempo insolitamente lungo: sette anni, durante i quali acquisiscono un’autorità morale che può vincolare l’azione del
governo.
Questa volta la scelta può sembrare scontata. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, è rispettato a livello internazionale. È libero da vincoli di
fedeltà a partiti e dirige un gabinetto che abbraccia l’arco politico dall’estrema destra alla sinistra
radicale. Sembrerebbe quindi logico che questa ampia coalizione sia unita nel suo sostegno.
Eppure deve affrontare una dura lotta. Ironia della sorte, l’unico grande partito ad aver costantemente, anche se di nascosto, è anche quello che ha costantemente criticato la sua politica,
Fratelli d’Italia , di estrema destra, guidati da Giorgia Meloni, che lo scorso anno ha deciso di non unirsi alla coalizione guidata da Draghi. Il partito della Meloni è teoricamente alleato della Lega Nord populista, guidata da Matteo Salvini, e del partito di centrodestra Forza Italia, guidato
dall’85enne Silvio Berlusconi che, senza dichiarare la propria disponibilità, ha indicato di volere anche lui la presidenza.
La Meloni non ha avuto altra scelta che offrire il sostegno pubblico a Berlusconi. Ma, a differenza di quella di Salvini, la sua è sembrata decisamente tiepida. Se invece Draghi ottenesse la nomina, si porrebbe fine al suo governo e forse si andrebbe ad elezioni anticipate. Ciò andrebbe bene per l’Fdi,
in vetta ai sondaggi, e in particolare per la Meloni, che allo stato attuale emergerebbe come leader del più grande partito di destra, e primo ministro se la destra si assicurasse la maggioranza, come emergerebbe attualmente dai sondaggi Enrico Letta, leader del PD, attualmente in parità con F.D.I. nei sondaggi, inizialmente voleva che Draghi rimanesse primo ministro fino alle prossime elezioni politiche, previste per il 2023. Ma ultimamente si dice che non escluda il sostegno per la sua nomina a presidente. La priorità assoluta per il PD è garantire che l’attuale coalizione rimanga intatta fino al voto, anche per evitare che la
Lega, il cui leader, Salvini, lungi da un accordo, scivoli via. La destra radicale potrebbe essere una forza ancora più formidabile se entrasse in campagna elettorale dopo un anno o più unita
nell’opposizione.
Ed è qui che Berlusconi, o meglio, il sostegno dei suoi alleati nei suoi confronti, diventa un problema. Come ha riflettuto Draghi il 22 dicembre, è improbabile che una coalizione caduta sulla presidenza possa magicamente riunirsi per governare il Paese. Ma un candidato congiunto può essere concordato solo nei colloqui, e Letta si rifiuta di negoziare con Salvini fino a quando non esclude Berlusconi. L’opposizione a lui è ancora più forte nel Movimento 5 Stelle. Il 3 gennaio
infatti, i senatori del Movimento hanno votato per cercare di fare la quadratura del cerchio implorando Mattarella di restare in carica fino alle prossime elezioni. Questa è una soluzione che il
presidente ha ripetutamente respinto. Ma offrirebbe una via ampiamente accettabile per uscire da una pericolosa impasse.
Eduardo Saturno