“History View”: XX settembre, anniversario della presa di Porta Pia

 

Due righe per spiegare il senso di questa rubrica. Mi piaceva l’idea di intraprendere un percorso di approfondimento storico e letterario partendo dai nomi delle vie dei comuni di Anzio e Nettuno. In fondo per saperne di più basta soltanto essere curiosi e sfruttare letteralmente gli stimoli che abbiamo “sotto casa”.

“Il nostro percorso inizierà da via XX Settembre, che è, per intenderci, la via che, ad Anzio, va da Largo Angelita a Piazza Pia.

 Il XX settembre in questione è per l’esattezza il 20 settembre 1870, giorno in cui i bersaglieri entrarono a Roma con la presa di Porta Pia, per consentire così l’annessione di Roma e del Lazioai territori sottoposti a Vittorio Emanuele II, re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della Nazione”.

L’unità del Regno d’Italia, nome altisonante e monarchico, era stata proclamata il 17 marzo 1861, ma di fatto si trattava di un’unità imperfetta. Mancavano all’appello il Veneto, il Trentino, la Venezia Giulia, ma soprattutto Roma e il Lazio, questi ultimi due, territori pontifici. Non c’erano dubbi: tutti, moderati e democratici, erano d’accordo sulla necessità dell’unificazione territoriale del paese. Meno d’accordo erano invece sulla via da seguire: quella diplomatica a destra o la rivoluzione popolare a sinistra? Per risolvere la questione romana si optò per il cammino indicato da Cavour, espresso nella formula “libera Chiesa in libero Stato”. Cavour credeva fortemente nella libertà religiosa e nella necessità della separazione fra Stato e Chiesa e per questo motivo, già ancora prima dell’unificazione del Regno, aveva avviato trattative informali con il Vaticano. Il suo successore, Bettino Ricasoli, fece altrettanto, ma entrambi dovettero scontrarsi con l’atteggiamento contrastante e fermo del papa, Pio IX. Nel 1862 allora Giuseppe Garibaldi, tornato dall’isola di Caprera, organizzò una spedizione contro lo Stato pontificio. La sua precedente iniziativa, la celeberrima spedizione dei Mille, aveva liberato il Sud d’Italia e consentito la sua annessione al Regno ma quando si trattò del Centro le cose andarono ben diversamente. L’imperatore francese, Napoleone III, si schierò dalla parte di Pio IX, facendo intendere a Vittorio Emanuele  che sarebbe ricorso alle armi, se necessario. Il re d’Italia preferì allora scontrarsi con Garibaldi e decretò lo stadio d’assedio su tutto il mezzogiorno. Sull’Aspromonte garibaldini ed esercito regolare si scontrarono, lo stesso Garibaldi fu ferito e arrestato, era il 29 agosto 1862. Esatto, si tratta del famoso episodio in cui “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…”, al malleolo per l’esattezza. Il proiettile che lo colpì è oggi conservato nel Museo del Risorgimento al Vittoriano (o Altare della Patria), a Roma. Lo stato italiano si impegnò a fare la pace con Napoleone III e nel settembre 1864 venne concluso un accordo, la Convenzione di settembre, in base al quale i confini dello Stato pontificio rimanevano inalterati e rispettati. Pertanto la capitale venne spostata da Torino a Firenze. Due anni dopo all’Italia si presentò l’occasione per la liberazione del Veneto. Nello scenario della guerra austro-prussiana, l’Italia si alleò militarmente con la Prussia di Otto von Bismarck, in caso di vittoria avrebbe sottratto all’Austria i territori mancanti all’unificazione. Il risultato di quella che viene considerata la terza guerra d’indipendenza (indipendenza appunto dal dominio austriaco) fu deludente: l’Italia guadagnò il Veneto ma non la Venezia Giulia e il Trentino. Ciò alimentò uno stadio di tensione patriottica: tornarono alla ribalta Mazzini, con il suo progetto repubblicano, e Garibaldi, con la sua spedizione su Roma. La nuova strategia era quella di unire le forze, garibaldini e patrioti romani, per dar vita ad una rivolta popolare che scongiurasse l’intervento francese. Ma a Roma l’insurrezione fallì per scarsa partecipazione e le truppe francesi attaccarono i garibaldini presso Mentana, il 3 settembre 1867. Nei tre anni che seguirono i soldati d’oltralpe rimasero all’interno dello Stato pontificio per garantirne la difesa, violando gli accordi della precedente convenzione di Settembre. Ma proprio questa decisione andò a discapito della Francia quando, il 14 luglio 1870, Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia: l’occupazione di Roma fu ciò che impedì all’imperatore di ricevere gli aiuti militari nostrani. Pertanto, il 4 settembre dello stesso anno, il Secondo Impero crollò e in Francia venne proclamata la terza Repubblica. Questo stravolgimento aprì la strada alla conquista di Roma. Vittorio Emanuele tentò un accordo con Pio IX, il quale ostinatamente rifiutò. Sembra che disse: “Io non sono un profeta, né figlio di un profeta, ma in verità vi dico che non entrerete in Roma”. Era vero. Non era un profeta e la sua profezia non si avverò. Quello stesso giorno 50000 soldati stanziati in Umbria marciarono su Roma e tre giorni dopo, la mattina del 20, il reparto di artiglieria, guidato dal generale Luigi Cadorna, aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura di Roma, vicino a porta Pia. Fu la fine del potere temporale del Papa, o meglio, fu la fine del primo tempo. Il secondo tempo iniziò con i Patti lateranensi del 1929, quando Mussolinì regalò a papa Pio XI un fazzoletto di terra su cui esercitarlo, lo Stato del vaticano. Ma questa è un’altra storia…”