“History View”: il 24 settembre 1798 nasceva Massimo d’Azeglio

Due righe per spiegare il senso di questa rubrica. Mi piaceva l’idea di intraprendere un percorso di approfondimento storico e letterario partendo dai nomi delle vie dei comuni di Anzio e Nettuno. In fondo per saperne di più basta soltanto essere curiosi e sfruttare letteralmente gli stimoli che abbiamo “sotto casa”.

“Bene, rieccoci qua! La scorsa settimana ci siamo fermati in Via XX Settembre, approfittando del fatto che proprio Giovedì ricorreva l’anniversario della Presa di Porta Pia. Questa settimana faremo la stessa cosa: oggi è il 24 settembre, e il 24 settembre 1798 nasceva Massimo d’Azeglio.

Via d’Azeglio è una di quelle vie che si trovano tra la Nettunense e la linea ferroviaria, all’altezza della stazione di Padiglione.

Massimo d’Azeglio invece è stato uno dei protagonisti del Risorgimento italiano. Statista, ma anche scrittore, pittore. La sua era una famiglia di nobili origini della provincia di Cuneo, i Taparelli di Lagnasco. Massimo nacque a Torino ma, a causa dell’occupazione napoleonica, la sua famiglia fu costretta a vivere per qualche anno a Firenze. Il 18 giugno 1815 però, Napoleone venne definitivamente sconfitto a Waterloo e confinato sull’isola di Sant’Elena. Gli ex sovrani di tutta Europa si riunirono nel Congresso di Vienna e decisero che per tutti era giunto il momento di tornare a casa, ripristinare l’Ancien Régime, e fare finta che gli ultimi cinquant’anni abbondanti di storia non fossero mai esistiti. In Italia il Regno Sabaudo, riottenne Piemonte e Savoia, Vittorio Emanuele I di Savoia rientrò trionfalmente a Torino e con lui anche i Taparelli.
Massimo intraprese la carriera militare, per seguire le orme del padre, entrando nella Cavalleria nel reggimento Piemonte Reale, come sottotenente. Ma a causa dei contrasti con la classe aristocratica rinunciò alla carriera ed entrò nella semplice fanteria. Il giovane Massimo promette di essere dunque un anticonformista fedele ai propri principi. E difatti, in modo altrettanto anticonformista rispetto al chiuso ambiente aristocratico familiare, scelse di dedicarsi alla pittura, vivendo per brevi periodi tra Roma e Milano. Qui frequenta il cenacolo di Alessandro Manzoni, finendo per sposarne la primogenita, Giulia. Si dedica anche alla scrittura, pubblicando tra gli anni ’30 e ’40 romanzi storici (Ettore Fieramosca o La disfatta di Barletta; Niccolò de’ Lapi o I Palleschi e i Piagnoni). Negli anni ’43-’44 si accese in lui la passione politica di stampo liberale-moderato, anche grazie alla frequentazione del cugino Cesare Balbo. Nel ’45 accettò di fare per il movimento liberale italiano un viaggio che lo mise in contatto con carbonari e mazziniani delle Romagne, Marche e Toscana. Erano gli anni precedenti ai grandi moti rivoluzionari del ’48 e il movimento liberale appariva disunito. Da una parte Mazzini, con la sua Giovane Italia, aveva convogliato i carbonari verso l’obiettivo di una rivoluzione di popolo che avrebbe dato vita a uno stato libero, unito ma soprattutto laico e repubblicano. Dall’altra però i moderati, tra cui Gioberti, Baldo e d’Azeglio desideravano che il tutto avvenisse sotto il vessillo della monarchia, senza escludere la partecipazione papale. Il resoconto del viaggio, Gli ultimi casi di Romagna, denuncia i limiti delle sette, ma anche quello del malgoverno papale, e dimostra la necessità di un nuovo metodo di lotta fondato su una specie di cospirazione alla luce del sole, su una lotta condotta a viso aperto con l’appoggio della pubblica opinione e con l’aiuto politico e militare di Carlo Alberto. Gli anni che seguirono lo videro collaboratore più o meno stretto del Regno Sabaudo, sempre in chiave antiasutriaca. Con il passare degli anni però il suo moralismo paternalistico si accentuò impedendogli di giudicare un successo gli eventi del 1860-61. Egli si oppose all’unificazione tra nord e sud giudicandola ancora immatura. Sorriderebbe forse oggi nel vedere che una simile maturità non è stata ancora raggiunta. Nell’autobiografia I miei ricordi scrisse: “Pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno ancora gli Italiani”.

Mio caro Massimo, avevi ragione tu, ma se avessimo aspettato di essere “spiritualmente” pronti, l’Italia non l’avremmo mai fatta! Lo spirito patriottico sopravvive solo negli accampamenti militari delle zone di guerra sparse per il mondo, in cui i soldati dicono di combattere per difendere la nostra nazione, e i loro parenti sopportano la paura e il dolore illudendosi che sia così. Esiste un po’ di spirito nazionalistico ma giusto durante gli eventi sportivi, campionati di calcio, olimpiadi e simili… cose di cui forse ti sei interessato poco nell’arco della tua vita. Una lingua comune con cui parlare oggi esiste, ma raramente ci capiamo. Se ti può consolare però la disparità economica è ancora la stessa. Insomma tra nord e sud non ci sentiamo molto fratelli d’Italia anche se poi siamo tutti un popolo di lassisti, indolenti, miopi, goderecci e simpaticoni.”