In poche parole. Tutto chiede salvezza, il libro di Daniele Mencarelli

La salvezza è come il viaggio di Ulisse verso Itaca.
Facciamo di tutto per combattere le malinconie, per mettere a tacere tristezza e paure, indossando i filtri anche dal vivo.
Eppure quando vedo “anime di cristallo” aggirarsi nel mondo rimango sempre incantata, somigliano ai prismi di vetro che riflettono arcobaleni.

Una delle anime più delicate e resistenti che io abbia mai conosciuto attraverso le pagine di un libro è Daniele Mencarelli, l’uomo che con ‘Tutto chiede salvezza’ edito da Mondadori, ci ha regalato parole preziose, proiettili di velluto che scavano dentro il cuore e ti lasciano polvere impermeabile.
La sua è un’autobiografia, di quando all’età di vent’anni viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio.

Si ritrova a condividere la stanza con altri uomini che convivono, come lui, con nevrosi, manie, crisi depressive e latenti melanconie.
È una descrizione accorata di quanto le fragilità emotive e psichiche vengano sottovalutate e di come la vita sia amplificata sotto ogni punto vista.
Daniele ama, odia, soffre, sente in modo smisurato perché come dice lui stesso:”Se c’è una vetta la devo raggiungere, se c’è un abisso lo devo toccare.”

Chi siamo quindi noi per giudicare queste delicatezze? Come possiamo comprendere un essere umano che dietro ad un punto vede l’infinito?
Ne è pieno il mondo di anime fragili, ci fanno paura, tendiamo a scansarle, perché il dolore dell’altro potrebbe infettarci, potrebbe aprire il nostro personale vaso di Pandora e quindi preferiamo un bel giubbotto antiproiettile per ripararci dagli urti esterni della vita.

Quello che accade nella mente di ognuno di noi, resta spesso, troppo spesso, solo dentro di noi, ci vuole coraggio per essere Daniele, ci vuole coraggio a raccontarsi senza veli, mostrando cosa accade negli abissi, nelle acque più torbide della mente e restare a galla.

Con Mencarelli ci accorgiamo di come talvolta anche le famiglie non sono pronte ad abbracciare questi stati d’animo, non si è mai pronti per l’imprevedibile e l’amore non basta e quando è troppo potrebbe esserne addirittura la causa.
Quindi viene da chiedersi perché l’amore potrebbe fare così male? Una madre, un padre che vedono il proprio figlio lottare contro se stesso, che vedono i suoi occhi assenti vagare per universi sconosciuti, come dovrebbero comportarsi?

Salvezza. Ma da chi? Da cosa? L’unica salvezza che trasuda è quella verso noi stessi, attraverso il nostro stesso amore ed a quanto pare è davvero il viaggio di Ulisse verso Itaca.

Dopo aver letto il libro mi sono chiesta se i veri matti sono quelli dei manicomi, o se siamo noi, che non riusciamo a concederci l’ascolto più profondo, se pur doloroso.
I matti, così definiti, sono solo persone che hanno la capacità di ascoltare il mondo con attenzione, sentono anche il più impercettibile battito di ali, sentono ogni grado di sofferenza e tutto quel dolore, tutto quell’amore, tutta quella bellezza, non riescono a contenerla, così avviene l’esplosione.

Che siano nuvole, fulmini, sole, albe o tramonti, sarà sempre come il primo vagito, traumatico, pazzesco e dannatamente vitale.

“Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi.”