di Marco Omizzolo e Roberto Lessio
“Non disturbare chi vuole fare” è la ricetta economica con la quale Giorgia Meloni si è presentata in Parlamento meno di un anno fa per chiedere la fiducia al suo governo. Nulla di nuovo. Si tratta della vecchia e ormai decrepita ricetta dello “Stato minimo” in base alla quale la politica non deve assumere alcun ruolo di guida dei processi economici, lasciando mano libera al dispiegarsi dell’iniziativa privata e cristallizzando in tal modo le ingiustizie e le diseguaglianze esistenti fra le persone e nei territori. Infatti, in base alla lettura berlusconiana di questa ricetta, quella preferita dalle lobby del potere del nostro Paese, il disturbo non va arrecato a chi ha voglia di fare quello che gli pare, magari adattando le leggi ai loro interessi e non viceversa come impone la Costituzione Italiana. Poco conta se chi produce, dopo aver fatturato milioni di euro, si sottrae alle proprie responsabilità quando nel territorio lascia disastri ambientali, disoccupazione o, per via di questa vetusta formula liberista, morti sul lavoro e lutti continui.
Se c’è un settore economico nel quale anche l’attuale governo Meloni sta applicando alla lettera questa ricetta, ovviamente in funzione elettorale, è quello delle concessioni demaniali. Tema che scalda in particolare gli ambienti politici a sostegno soprattutto di questa destra nazionalista al governo, a partire dagli interessi della ministra Santanché.
Ormai non si contano più le sentenze che impongono a tutti gli uffici pubblici interessati di disapplicare le leggi “criminogene” che man mano vengono approvate dai governi di centro-destra per prorogare sistematicamente tali concessioni malgrado la normativa del settore, la cosiddetta “Direttiva Bolkestein”, sia stata approvata nel 2006. In ordine cronologico l’ultima sentenza è del Consiglio di Stato del 28 agosto scorso, mentre ad aprile di quest’anno c’è stata persino la pronuncia della Corte di Giustizia Europea. La solfa che giustifica la prassi è sempre la stessa: le proroghe servono a difendere le 30mila imprese familiari che hanno investito i loro soldi negli stabilimenti, forniscono servizi essenziali per i bagnanti e danno lavoro a chi non ne ha. Con le gare europee invece di sicuro arrivano le multinazionali delle vacanze, e/o i cinesi, che poi andranno a nascondere i loro lauti guadagni in qualche paradiso fiscale invece di reinvestirli nel settore nostrano. Rispetto alla cristallizazione dei privilegi acquisiti, dei canoni irrisori fermi da anni e dell’abusivismo dilagante il silenzio resta assordante. La cronaca.
Con la scusa di dover rivedere tutta la normativa di settore, quelli del centro-destra ci avevano già provato con la legge finanziaria del 2019 prorogando di 15 anni tutte le concessioni demaniali esistenti fino al 2033. Poi ci pensò il Consiglio di Stato con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021 a ribadire, ancora una volta, che quelle norme erano illegittime rispetto alla normativa europea. Poco prima di cadere, nell’agosto dello scorso anno il governo Draghi fu costretto a difendere l’immagine dell’Italia di fronte all’UE decretando che le concessioni vigenti sarebbero cessate improrogabilmente entro il 31 dicembre di quest’anno. Il governo Meloni però doveva mantenere le promesse elettorali e con il decreto “omnibus” Milleproroghe, sempre con la scusa di prendere tempo per rivedere tutta la normativa del settore, ha differito la scadenza delle concessioni alla fine del 2024. Mossa furba perché con il Milleproroghe ormai nessuna scadenza viene rispettata. Segue l’ennesima sentenza del Consiglio di Stato che a fine agosto scorso ribadisce l’illegittimità della proroga. Il risultato è che oggi nessun Comune in Italia è in grado di espletare una nuova gara per l’affidamento delle concessioni. Intanto le nuove elezioni europee sono alle porte.
Tutto questo non è certo frutto del caso. Basta riflettere sui protagonisti di questa vicenda. Fu l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, infatti, a lanciare cinque anni fa la nuova fase evolutiva dei “padroni a casa nostra”, anche se in verità le spiagge sono beni comuni di proprietà pubblica. Lo fece con l’ormai famoso discorso del “Papete Beach”, lo stabilimento balneare di Milano Marittima (Comune di Cervia) di proprietà del bolognese Massimo Casanova, attuale parlamentare europeo del suo partito eletto nel 2019 nella circoscrizione dell’Italia meridionale. La stessa Ministra del Turismo oggi in carica, la “fratella” d’Italia Daniela Santanché (che in realtà all’anagrafe si chiama Daniela Garnero) con il suo socio imprenditore Flavio Briatore (altro esperto in ricette economiche in salsa berlusconiana) paga appena 17mila euro l’anno per la concessione demaniale del locale che possiedono insieme in Sardegna. È in tal modo che secondo l’Istituto di ricerche economiche Nomisma ogni anno non entrano nelle casse dello Stato almeno 15 miliardi di euro, salvo poi andare in Europa a reclamare i soldi previsti dal PNRR.
Tutto questo avviene grazie a leggi che definiamo “criminogene”: non si contano infatti più le inchieste e i processi che si stanno svolgendo in giro per l’Italia a causa del voto di scambio e di altri reati che sempre più spesso si materializzano con tali proroghe. È stata una di queste indagini che nell’estate di otto anni fa ha portato per la prima volta nella storia del nostro Paese allo scioglimento per mafia di un municipio della Capitale, quello di Ostia. Ed è un’altra inchiesta dello stesso genere che ha decapitato lo scorso anno l’amministrazione comunale di Sabaudia, dove la Sindaca Giada Gervasi, a quanto risulta dalle cronache, rispondeva direttamente ai concessionari balneari, anche se in quel Comune una gara a evidenza pubblica per il rilascio di tali concessioni non si è mai vista. Ma questo è niente in confronto a quello che sta succedendo nella limitrofa spiaggia di Latina. Alle otto di sera del 15 maggio scorso, in località Capoportiere, è stata incendiata e distrutta una concessione che la precedente amministrazione aveva rilasciato a una associazione di volontariato dopo l’inspiegabile rinuncia di due ditte che avevano vinto l’apposita gara: un mistero che aveva portato anche alla presentazione di un esposto alla Magistratura. Un fatto estremamente inquietante e che comunque trova una plausibile spiegazione con il messaggio politico lanciato a tutte le istituzioni attraverso quell’incendio. Le passate amministrazioni comunali di centro-destra a Latina più volte avevano dichiarato la propria disponibilità a concedere le proroghe a tutte le concessioni in scadenza in quel tratto di spiaggia che ricade nel territorio del Parco Nazionale del Circeo. Poi però era stato sfiduciato il Sindaco e la promessa elettorale svanì perché nel frattempo, con l’arrivo del Commissario straordinario, fu indetta una nuova gara. Quella di Capoportiere era in assoluto la concessione più ambita sia per questioni logistiche che economiche. In passato era stata rilasciata a un noto personaggio collegato alla criminalità organizzata locale che però restò escluso dalla nuova gara perché sprovvisto dei requisiti di partecipazione. Quale era e quale è il messaggio politico sotto questa vicenda? Mentre era in corso un temporale con tanto di pioggia battente, il fuoco si è sviluppato istantaneamente su tutta la struttura alle otto di quella sera del 15 maggio che non a caso era la domenica in cui a Latina si svolgevano le elezioni per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio comunale. La neo-eletta sindaca del centro-destra Matilde Celentano si affrettò a convocare il solito “tavolo per la sicurezza pubblica” nel quale, tanto per buttare la palla in tribuna, intervenne il Ministro dell’Interno Piantedosi con le relative promesse di rafforzamento delle forze di polizia locale. In realtà il messaggio politico è arrivato chiaro e forte ai destinatari che però ancora non hanno fornito alcuna indicazione rispetto a quale parte della legge vogliono stare. Del resto l’input governativo è stato molto chiaro: non bisogna disturbare chi a voglia di fare… quello che gli pare. Mica si vorrà perdere una grande quantità di voto per sciocchezze del genere. Questo genere di “politiche” continuano a muovere consensi, voti e a reggere un sistema di potere nazionale che dice di non volere gli immigrati come invasori ma che con lo slogan del “padroni a casa nostra” trasformano beni comuni e pubblici in affari milionari per loro e i loro amici.
Fonte https://www.micromega.net