“Tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare.”
Una persona con cui condivido consigli di lettura mi ha affidato questo libro dicendo che per come mi ha intuita, era nelle mie corde.
Confermo. È nelle mie corde. Perché è un racconto dolorosissimo che si sviluppa attraverso il ricordo frammentato di alcuni oggetti e per chi pone la giusta attenzione alle cose sa che non sono mai “solo” oggetti, ma la narrazione della nostra vita.
Michele Ruol apre “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” per Terrarossa edizioni, svelandoci già dove vuole condurci, il lutto.
Madre e Padre che con un incidente stradale perdono contemporaneamente Maggiore e Minore.
Nessuno ha un nome, la loro identità si costruisce attraverso le cose, così come la loro anima, inframmezzate dagli eventi e dagli accadimenti di questi anni di vita e di morte e di sopravvivenza.
C’è la scoperta di ognuno di loro, di chi erano, di chi sono, la distruzione, la ri-costruzione, la possibilità di cadere preda del dolore e capire che l’unico modo per non esserne sopraffatti è accompagnarlo, viverlo, sentirlo sulla pelle e a quel punto conviverci.
“Di cosa hai paura?”
“Dei pioppi.”
Di quella foresta bruciata e resa desertica e arida come le vite dopo una perdita così ingestibile, il fuoco che ha mangiato i sogni e gli alberi che li hanno spezzati fanno da cornice a uno scenario simile ad un Armageddon.
Chiunque abbia assistito al proprio di Armaggedon sa che se ne esce con le ossa spezzate, il cuore in frantumi e l’anima incolta, al contempo sa che ci sarà sempre, sempre e sempre la figura di Madre pronta a interrare un fusto coperto di iuta e attendere nuovi germogli.
E ci sarà sempre Padre accanto, a fare da risacca, a concedersi la fragilità e finalmente tornare a vivere.
Come un cerchio. Ciclico.
P.s.
Cosa resta dopo? Un inventario di ricordi che fanno una vita.