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In poche parole, “Figli amati male” il libro di Basilio Petruzza

“Non vivere e non morire è il più subdolo dei dolori perché non ti piega ma ti curva lo stesso.”

Qualche giorno fa sono entrata in libreria per i miei soliti bulimici acquisti, Eleonora mi ha consegnato questo malloppo emotivo tra le mani:”Se ti piace me lo paghi, sennò amen”.
Gliel’ho pagato.

Basilio Petruzza “Figli amati male”(Arbor libri)non chiede permesso, non fa sconti, entra nella vita del lettore con i piedi pari e non schioda, non intende farlo, fino a quando non hai assorbito per bene tutto il dolore e tutta la fatica e tutto l’amore di cui i suoi personaggi dispongono.
Tu sei Raf, sei Monica, ma sei anche Tommaso, Valeria, Domenico, Massimo e anche Anna, Iris, Lorenzo. Sei la parte marcia della mela e sei la parte salvifica, devi solo sapertene accorgere.
Siamo tutti figli, per questo possiamo immergerci nel racconto, perché possiamo prendere contatto con quelle piccole grandi distonie familiari e provare a ridisegnarne i contorni, i nostri personalissimi contorni.
Si parla di malattie legate ai disturbi alimentari, di ansia, di amori malati, di genitorialità fallita, di sentirsi figli sbagliati.

I figli amati male sono figli che a loro volta hanno avuto genitori che sono stati figli e che a loro volta sono stati amati male, non si tratta di giustificare loro, ma di perdonare noi stessi, di camminare nel mondo con la consapevolezza che ciò che di cui siamo stati nutriti poteva essere meno tossico e meno nocivo, indubbiamente, ma sta a noi riconvertire la nostra esistenza.

Come? Perdonando, appunto. Assorbendo la rabbia, la frustrazione e facendo pace con l’idea dell’abbandono, abbandono anche di ciò che eravamo e di cambiare pelle.
Continuando a nutrire quel bambino affamato di amore con l’amore, il nostro stesso amore.

Un romanzo corale che ci dà la prospettiva di come tutto intorno sia tanto simile a ciò che ogni giorno guardiamo allo specchio, basta non avere la presunzione di pensare che siamo i soli, gli unici e ricordarci che “chiunque sia vivo è fragile”, bisogna avere la delicatezza dell’accoglienza.

Faticoso, emotivo, delicato, non fragile, ma tanto delicato.

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Claudia Mancini
Claudia Mancini
Collaboratrice cultura, già titolare di Levante caffè letterario

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