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Pedagogia in Gioco, “Non mi piace!” – Quando il cibo diventa un linguaggio 

 

Rubrica settimanale a cura della maestra Giorgia Costantini

Cara maestra Giorgia,

ti seguo sempre con grande interesse e oggi vorrei sottoporti un dubbio che, forse, con la ripresa della mensa scolastica, riguarda tanti genitori come me.

Mio figlio è sempre stato molto selettivo con il cibo, ma da quando ha cominciato a mangiare a scuola, questa difficoltà si è amplificata.

Dice che “il cibo della mensa fa schifo”, che “non gli piace niente”, che “è troppo” o “non è come a casa”.

La cosa che mi preoccupa di più è che rifiuta proprio di assaggiare. Rimane spesso a digiuno e poi torna a casa affamato, nervoso, lamentoso.

Io non so se sia giusto forzarlo. Alcuni mi dicono che devo essere più rigida, altri che passerà. Le maestre, molto gentili, mi hanno rassicurata, ma sento che dietro a questo rifiuto c’è qualcosa di più profondo.

È solo una fase? Sto sbagliando qualcosa? Come posso aiutarlo a vivere il momento del pasto scolastico con più serenità?

Una mamma preoccupata

(lettera firmata)

✏️ Risposta

Cara mamma,

intanto ti ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità una preoccupazione che, in effetti, riguarda molte famiglie, soprattutto all’inizio dell’anno scolastico.

Il cibo non è solo nutrimento. È esperienza sensoriale, affettiva, culturale.

A tavola, più che altrove, si intrecciano gusti, abitudini familiari, emozioni.

E quando il momento del pasto cambia contesto – come succede a scuola – tutto questo bagaglio emotivo viene messo alla prova.

Per molti bambini, mangiare a scuola non è solo “assaggiare cose nuove”:

è stare con tanti altri, seguire orari diversi, accettare un menù non scelto, condividere spazi, rumori, odori.

Insomma, non è solo una questione di gusto… ma anche di fiducia, sicurezza, adattamento.

Cosa può aiutare

1. Accogli il suo rifiuto senza giudizio

Dire che “non gli piace” non sempre significa davvero che non gli piaccia: a volte significa che non si fida, che si sente spaesato, che ha bisogno di tempo.

Evita frasi come “Ma che esagerazione!” o “Non fare storie”. Piuttosto:

“Capisco che non è facile. Vuoi raccontarmi cosa non ti piace di quel momento?”

2. Dai valore al contesto, non solo al contenuto

La mensa è un luogo educativo: non è un ristorante, ma un’esperienza collettiva.

Aiutarlo a vivere bene il momento (chi siede accanto, come si apparecchia, cosa succede dopo) è più importante del numero di bocconi mangiati.

3. Allena la flessibilità a casa

Coinvolgilo nei menù, proponi piccoli assaggi, racconta esperienze positive legate al cibo.

Evita premi o punizioni legati a ciò che mangia: il cibo non deve diventare uno strumento di controllo.

4. Fidati anche della scuola

Gli insegnanti osservano tanto, anche a mensa.

Se ti riferiscono che il bambino è sereno, partecipa, ma mangia poco… non è detto che sia un problema.

Meglio qualche cucchiaiata tranquilla che un pasto intero ingoiato tra le lacrime.

Cibo e pedagogia: una relazione profonda

Il cibo, nella crescita, ha un valore relazionale: ci si racconta a tavola, si conoscono le regole della convivenza, si condividono momenti.

Se forzato o caricato di ansia, può trasformarsi in un campo di battaglia.

Se vissuto con leggerezza, può diventare un ponte meraviglioso verso la fiducia, l’autonomia e la scoperta.

Ricordiamoci che…

Mangiare non è solo un bisogno: è anche un linguaggio.

E ogni bambino, prima o poi, trova il suo modo per imparare a gustare il mondo.

Citazione finale

“Mangiare è un atto d’amore. Non solo verso il corpo, ma verso la vita che cresce.”

— Pedagogia in GioCo

Scrivimi

 

Hai un dubbio, una domanda o un piccolo grande problema quotidiano da condividere?

giorgiamaestra@gmail.com

Scrivimi, e insieme proveremo a guardarlo con occhi pedagogici.

Ti aspetto nella prossima uscita di Pedagogia in GioCo.

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