“Il selvaggio è infinito in senso di sconfinato. Non ha confini, o meglio noi non li conosciamo. Le mappe riportano “Hic sunt leones”.
Ero in una libreria di Perugia, e “In territorio selvaggio”
di Laura Pugno per Nottetempo, mi è saltato in mano senza esitare, doveva essere mio, voleva essere mio, perché aveva da raccontarmi qualcosa su cui da tempo indago, a cui sono legata e in cui credo fortemente, la connessione tra parole, letteratura, mondo selvaggio, comunità e corpo.
Il territorio selvaggio è fatto di parole, quelle che ci portiamo dentro, che si muovono ferine dentro di noi, i libri, la letteratura ci aiutano a scavare, indagare, provando a consolare una parte di noi che riversa nella solitudine tipica del lettore, perché in quelle storie riusciamo a scorgere tanto di noi.
Le chiamano “ossa biancheggianti”, tutto quello che rimane dentro di ciò che abbiamo letto, appreso, conosciuto, tolti tutti i fronzoli(nomi, aggettivi, verbi, sintassi).
Il territorio selvaggio è nella mente che è strettamente legata al nostro corpo, entrambi ci comunicano la nostra storia attraverso gesti, posture, riflessioni, c’è una stretta connessione e andando a indagare ci accorgiamo di quanto quel selvaggio ci può salvare.
Dobbiamo avere il coraggio di incamminarci dentro quel bosco, attraversalo con i nostri tempi, fare esperienza e provare a trovarci dentro noi stessi nella forma più essenziale e sincera.
Per cambiare pelle, per avere chiaro il concetto di “io è un altro”tanto caro a Rimbaud.
Cosa c’entra la comunità? È fondamentale per andare a intercettare i nostri confini, gli orizzonti e accorgerci che nelle storie che siamo e che scegliamo ci siamo tutti.


