Tragedia di Lampedusa. Fortezza Europa, le nostre responsabilità

Se davvero si vuole che il Mediterraneo smetta di essere una tomba, è necessario riorientare le politiche di asilo e migrazione verso misure che escano dall’emergenza

di Monica Frassoni

Lo sgomento, il dolore, la solidarietà di fronte alla grande, ennesima tragedia nel Mediterraneo, tomba di più di 20.000 persone negli ultimi 20 anni, non possono farci dimenticare che quanto accaduto non è né un caso né una fatalità. La realtà è che da anni la strada percorsa fino ad ora è stata prioritariamente quella perdente e crudele dell’emergenza, della repressione, del respingimento, del rafforzamento, peraltro inefficace, della Fortezza Europa; questo è quello che emerge a un esame anche sommario del modo in cui sono state prioritariamente spese le risorse europee e nazionali in materia di asilo e migrazione e delle regole che si sono venute via via accumulando a livello nazionale, ma anche europeo. Questo non significa auspicare frontiere aperte sempre e per tutti. Significa semplicemente prendere atto del fatto che pensare di bloccare completamente le migrazioni e di chiudersi totalmente al richiamo dei popoli in fuga dalla guerra è un’illusione tragica e molto costosa.

Tre esempi molto chiari: come ben spiega il rapporto del Consiglio d’Europa uscito due giorni fa, l’Italia non ha una politica d’immigrazione e di asilo efficace; la concentrazione esclusiva su misure di repressione e di controllo e in particolare l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, l’incapacità di assicurare ai rifugiati assistenza ha ulteriormente peggiorato la situazione. Insomma, le norme italiane “producono” illegalità e insicurezza invece di ridurle.[1] Per questo è davvero urgente cambiarle. Il fatto che il Ministro Alfano abbia riunito a Lampedusa il comitato per “l’ordine e la sicurezza” come primo atto, non pare di buon auspicio.

In secondo luogo, l’appello alla “solidarietà” europea non tiene conto di alcuni fatti, e cioè che l’Italia ha ricevuto tra il 2007 e il 2011, 112 milioni di euro dal fondo per il controllo delle frontiere, 25 milioni di euro dal fondo per i rimpatri, 22 milioni dal fondo per i rifugiati; 77 milioni per il fondo per l’integrazione. A parte la sproporzione tra i fondi per il controllo delle frontiere e quello per l’integrazione e le misure positive, sarebbe interessante sapere come questi fondi siano stati spesi, non solo in Italia, ma in tutta la Ue: tanto per fare un esempio, nel 2010 qualcosa come 8,525,782 di euro sono stati spesi per rimpatriare 2,038 persone. Siamo sicuri che questo sia il modo migliore di spendere preziose risorse? L’Ue ha evidentemente delle importanti responsabilità. Ma è bene notare che dal 2009, l’Ue può legiferare in materia d’immigrazione e asilo; la maggior parte delle proposte positive sono bloccate non dalla Commissione o dal Parlamento, ma dagli Stati membri, che non trovano le maggioranze per approvarle. Anche su questo tema, non è “l’Europa” che non si muove; ma i governi nazionali, che corrono dietro alla facile retorica anti-migranti che non risolve assolutamente nulla, come ben si vede dagli eventi di Lampedusa.

In terzo luogo, la “propaganda” imperante fa pensare a chi ascolta che l’Italia sia l’unico paese che si trova a fronteggiare questa situazione e confonde costantemente migranti con persone che hanno diritto di protezione. Ed è davvero inaccettabile sentire esponenti della Lega, che hanno sulla coscienza i morti dovuti alla disastrosa politica dei respingimenti – per la quale l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani – parlare di Europa “schifosa” è inaccettabile. Tra gennaio e luglio di quest’anno l’Italia ha ricevuto circa 6.700 domande di asilo contro le circa 29.000 della Francia e le 51.000 della Germania. La Grecia, nella sua situazione di baratro assoluto nella quale l’hanno gettata i suoi governanti e la Troika, nei primi mesi del 2012 ha affrontato il peso di 70.000 persone alle sue frontiere ed è indubbio che il crollo dell’economia e le estreme tensioni nella società greca rendono la situazione esplosiva; la Turchia deve sostenere 150.000 rifugiati siriani. Oggi sono arrivati in Bulgaria 11.000 siriani; eccetera eccetera. È possibile gestire questa situazione in cui rifugiati e migranti si mescolano e in cui non è possibile pensare che possano essere tutti respinti al mittente, in modo più razionale che semplicemente voltando la testa dall’altra parte? O atteggiandosi a povere vittime, appellandosi all’Europa, quando peraltro si è accettato senza fiatare di ridurne sostanzialmente le risorse nel negoziato sulle prospettive finanziarie appena conclusosi[2]?

Se davvero si vuole che il Mediterraneo smetta di essere una tomba, ci sono molte cose che si possono fare in Italia e in Europa. Riorientare le politiche di asilo e migrazione verso misure che escano dall’”emergenza” favoriscano la migrazione limitata, ma legale, che blocchi il dominio dei trafficanti, che si nutrono dell’illusione degli stati della Fortezza Europa; e che, in situazione di conflitto, mettano in applicazione misure temporanee già esistenti di accoglienza o canali umanitari, combinate con misure di sostegno ai paesi che si sobbarcano il peso maggiore dell’accoglienza dei profughi e dei richiedenti asilo. È urgente inoltre modificare alcune regole europee profondamente sbagliate la cui applicazione ha avuto un impatto devastante in questi anni come la Convenzione di Dublino che impedisce di scegliere il paese di accoglienza al richiedente asilo e lo obbliga a rimanere bloccato nel primo paese dove è entrato illegalmente. Si deve finalmente intervenire su alcuni accordi bilaterali ed europei di respingimento, primo fra tutti quello con la Libia; modificare le regole sul soccorso in mare, e che oggi rendono possibili equiparare chi soccorre in mare un naufrago che è anche un migrante o rifugiato al “favoreggiamento” dell’ingresso illegale (Direttiva 90/2002); e cosi via. Nessuna di queste misure è risolutiva. Ma ognuna contribuirebbe almeno a tentare di fermare la corsa alla morte per emigrazione o per guerra di tante persone che hanno invece il diritto ad essere protette e accolte.

Ma non ci facciamo illusioni: per avviare questa grande opera di revisione delle inefficaci politiche securitarie e repressive c’è bisogno di un dibattito pubblico di “verità”, che punta a dimostrare il totale fallimento delle attuali misure e risponda allo stesso tempo alle preoccupazioni di chi teme “le invasioni barbariche”: insomma, abbiamo bisogno di maggioranze politiche diverse in Italia e in Europa. Le elezioni europee di maggio sono da questo punto di vista un’occasione da non perdere.

 

[1] http://website-pace.net/documents/19863/168397/20131002-RptMixedMigratoryFlows-EN.pdf/426bce45-1258-4773-b961-be69c5bb0f75

[2] Per la prima volta nella storia della Ue, il bilancio comunitario (che ammonta all’1% del PIL EU, verrà ridotto nel periodo 2014/2020.

 

fonte: www.sbilanciamoci.info.