Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche. Questo il reato ipotizzato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo nell’inchiesta aperta sul ritrovamento di una microspia nella sala riunioni del Governatore del Lazio, come segnalato dallo stesso presidente Nicola Zingaretti. Il reato prevede una condanna con la reclusione da uno a quattro anni, pena che può arrivare fino a cinque anni “se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”. Gli inquirenti hanno affidato ai carabinieri una consulenza sull’apparecchiatura che era nascosta nello schienale di una poltrona. Si tratta di una strumentazione rudimentale che può trasmettere fino ad un massimo di trenta metri. Non solo, la microspia è dotata di un pulsante, verosimilmente necessario per accenderla. Sul punto, ma più in generale su tutta la cimice, la Procura ha affidato una consulenza. Allo stato, comunque, gli inquirenti sono convinti che non sia riconducibile alle forze dell’ordine. La presenza del pulsante, rendendo necessaria la presenza nella stanza di una persona per attivarla fa pensare chi indaga che questo compito potrebbe aver richiesto la presenza di un interno o con possibilità di facile accesso nella sede della Regione. “Più che una cimice era un impianto stereo, una cosa piuttosto consistente e per questo anche inquietante. E’ evidente che l’artefice di questa idea aveva voglia di intromettersi nelle scelte dell’amministrazione o forse orientarle, ricattando la Regione. Speriamo che gli inquirenti facciano al più presto luce su questo fatto“, ha detto il vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio.(omniroma)