Irpef, le 10 crepe del decreto. Tagli drastici agli enti locali e ai servizi

Tagli drastici agli enti locali e ai servizi, effetti redistributivi e macroeconomici quasi nulli, nessun effetto sul lavoro e sulla disoccupazione che continua a galoppare. In Italia si cerca di accreditare il decreto sugli 80 euro come una misura progressiva, keynesiana e di giustizia sociale. Ma è proprio così?

di Giorgio Airaudo  e  Giulio Marcon

È segno del degrado della politica vedere utilizzato il decreto sugli 80 euro (n 66/2014) – in discussione al Senato e tra un po’ alla Camera – per motivi pubblicitari e di posizionamento politico, senza entrare veramente nel merito del provvedimento. Che non riguarda solamente gli 80 euro in busta paga a 10 milioni di persone, ma molto altro. Bene dare 80 euro al 25 per cento dei contribuenti e alzare la tassazione delle rendite e alle banche per le quote rivalutate di Banca d’Italia. Ma c’è molto di più in quel provvedimento: drastici tagli agli enti locali e ai servizi sociali per i cittadini, aumento della tassazione ai piccoli risparmiatori, gabelle per i passaporti e altro, chiusura delle sedi regionali Rai e probabile licenziamento del personale e molto altro. 10 sono le crepe più preoccupanti di questo decreto.

1. Non per tutti: fuori incapienti, disoccupati, pensionati

Come è noto sono fuori, da questo beneficio, le categorie più povere e bisognose: circa 6 milioni di persone. Per ogni italiano contento, ce n’é almeno un altro (precario, pensionato, ecc.) inbufalito. Un provvedimento rivolto alle classi sociali più basse avrebbe combattuto la povertà estrema ed avuto effetti macroeconomici più significativi (pochi soldi in più a chi ne ha pochi vengono spesi subito, ma non è detto che succeda lo stesso a chi sta un po’ meglio). Il governo ha promesso che lo farà nel 2015. Per il momento è un annuncio.

2. Una tantum (per ora) ma non per le imprese

Allo stato attuale l’impegno è solo per il 2014. Per il 2015, il governo ha detto che dovrà pensarci la legge di stabilità di ottobre. Però è da notare che nel decreto IRPEF, mentre il vantaggio per i lavoratori è una tantum, solo per il 2014, il vantaggio per le imprese (riduzione aliquota Irap) è contabilizzato – stabilizzandolo – non solo per il 2014, ma anche per il 2015 ed il 2016. Una tantum per i lavoratori, ma non per le imprese.

3. Effetti macroeconomici nulli

Il DEF, dice che l’effetto sul PIL di questa misura è dello +0,1%. Alcuni istituti indipendenti dicono che l’effetto è nullo mentre secondo altri ha un impatto negativo. Infatti l’effetto positivo del taglio delle tasse è compensato dal taglio della spesa, che ha un effetto negativo sul PIL. E – come ci dicono anche qui i manuali – il “moltiplicatore “ della spesa in investimenti è superiore a quello del taglio delle tasse.

4. Nessun effetto redistributivo

Maggiore reddito per la fascia individuata (lavoro dipendente e assimilato, ceto medio) non viene ottenuto grazie ad una distribuzione della ricchezza dai redditi più alti o dai grandi patrimoni, ma attraverso -in buona parte- una riduzione della spesa che sostanzialmente ha effetti su prestazioni e servizi (regioni ed enti locali) di cui la stessa fascia sociale beneficiaria del provvedimento è fruitrice. Questo sarà soprattutto vero dal 2015 in poi – se il provvedimento sarà stabilizzato – perché ottenuto, quasi sicuramente, tutto con la spending review.

5. Coperture traballanti e dannose

Quasi la metà delle coperture sono una tantum (rivalutazione quote Banca d’Italia, pagamento Iva delle imprese creditrici della Pubblica Amministrazione) e una parte (2miliardi e 100milioni) colpisce le spese di regioni, enti locali e ministeri. L’ufficio studi del Senato – come è noto – ha espresso profonde critiche sulle coperture individuate dal governo. Le entrate dell’IVA legate alla liquidazione dei debiti della Pubblica Amministrazione non rappresentano nuove risorse, ma solo un anticipo per i prossimi anni. C’è poi l’Irap: secondo i tecnici del Senato ci sarà un minor gettito rispetto ai due miliardi previsti. Difficili anche i due miliardi previsti come risultato del contrasto all’evasione per il 2015: “non è stata fornita alcuna informazione in merito a eventuali strumenti o metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell’obiettivo”, dicono i tecnici del Senato. Un po’ come faceva Tremonti.

6. Tagli ai servizi dei cittadini: meno welfare

Com’è noto il decreto prevede 2,1 miliardi di tagli a enti locali, regioni e ministeri. Gravissimo. Questo significa tagli ai servizi e alle prestazioni e ai servizi dei cittadini. Ognuno si arrangerà come può: chi ridurrà l’illuminazione, chi abbasserà la temperatura dei riscaldamenti, chi taglierà i finanziamenti alle associazioni, chi ridurrà la manutenzione delle strade, chi farà meno iniziative culturali, chi ridurrà il finanziamento all’assistenza specialistica ai disabili e alla sanità. Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha dichiarato che gli 80 euro vanno bene “purchè non importino drastici tagli alla Pubblica Amministrazione”. Proprio di questo si tratta. La Regione Puglia, a causa di questo decreto, dovrà tagliare 46 milioni dal suo bilancio.

7. Tolte altre risorse ai comuni delle zone agricole e montane

L’esenzione dall’IMU per le piccole aziende agricole delle zone collinari e montane viene ridotta di 350 milioni di euro. Ma il gettito non va ai Comuni bensì all’erario. Così non solo si penalizzano le piccole aziende agricole delle zone interne la cui funzione di salvaguardia del territorio andrebbe valorizzata e sostenuta, ma si sottraggono le risorse dovute ai Comuni.

8. Tagli alla RAI e nuove tasse ai cittadini

Vengono tolti alla RAI 150milioni: che poi sia arrangi vendendo RaiWay, se ce la fa. Il problema non è la giusta lotta agli sprechi, ma il licenziamento dei lavoratori (a partire dai precari), con questi tagli probabile. Poi c’è la tassa sul rilascio dei passaporti che passa da 40 a 73 euro. Poi ce n’è una nuova: una tassa di 300 euro per chi ottiene “il riconoscimento della cittadinanza italiana”. Infine, altra sorpresa per 25milioni di piccoli risparmiatori e correntisti italiani: la tassa sugli utili dei conti correnti passa dal 20 al 26%.

9. Coperture future improbabili

La Banca d’Italia ci ha detto che per il 2015 servono oltre 14 miliardi per finanziare questa misura, includendo l’allargamento agli incapienti. A queste risorse aggiunte quelle che sicuramente dovremo reperire per gli “sforzi aggiuntivi” che ci chiede Bruxelles: tra gli 8 e i 10 miliardi. Poi, servono i soldi – che si mettono in legge di stabilità – per misure inderogabili, quali la CIG, il 5 per mille, le missioni militari all’estero, ecc. In tutto, a seconda delle stime, una somma superiore ai 25 miliardi di euro. Renzi prevede di trovare tutti questi soldi dalla spending review di Cottareli per il il 2015 (17 miliardi), ma anche con la crescita. Ma quale? Va ricordato che nel 2014, l’obiettivo di Cottarelli è stato già abbassato di circa il 25%. Se avvenisse lo stesso anche nel 2015, sarebbero disponibili poco più di 12 miliardi e ne mancherebbero molti altri. I 2miliardi da lotta all’evasione fiscale sono virtuali, dicono i tecnici del Senato.

10. Benefici degli 80 euro compensati da altre tasse

I benefici degli 80 euro sono compensati da nuove tasse. Aumento della tassazione sulla prima casa (+60% rispetto al 2013, secondo Banca d’Italia), aumento della tassazione sui conti correnti, aumento addizionali Irpef comunali e regionali (a causa dei tagli dei trasferimenti), mancati aumenti contrattuali per il pubblico impiego a causa del blocco degli ultimi cinque anni e dei prossimi tre comportano benefici dubbi dal complesso di questa misura. Il tutto potrebbe essere a somma zero, o addirittura con un segno negativo. Le nuove tasse – ha calcolato la UIL – si mangeranno nei prossimi otto mesi oltre il 40 per cento del bonus degli 80: dei 640 euro in più si dovranno sottrarre 278 euro (Tasi più addizionali comunali Irpef). Ciò significa la riduzione al 56% dei benefici. Se a tutto ciò si aggiungono gli effetti dei tagli agli enti locali, allora la beffa è certa.

Quindi bene gli 80 euro (per chi li prende) ma tutto il resto? È un po’ un mezzo disastro: tagli drastici agli enti locali e ai servizi e tante imposte indirette, effetti redistributivi e macroeconomici quasi nulli. E nessun effetto sul lavoro e sulla disoccupazione che continua a galoppare: siamo al 13,6% e per i giovani al 46%. Teniamo conto che l’aumento del PIL previsto dal governo (+0,8%) – con il quale il governo spera di finanziare in futuro il provvedimento – è già nel libro dei sogni. Ce lo dicono l’Istat e l’OCSE e la Commissione europea lo ha già abbassato allo 0,6%. Per il primo trimestre 2014 (dati Istat) siamo già allo – 0,1%. A quel punto rimane la ricetta Cottarelli: privatizzazioni e altri tagli al pubblico impiego, al welfare e agli enti locali. E rimane quello che ha dichiarato Padoan al festival dell’economia di Trento: “sono a favore dell’aumento dell’età pensionabile”. Non proprio una mossa anti-austerità.

 

 

fonte: www.sbilanciamoci.info.