Il decreto legislativo n.81 del 15 giugno 2015, recante, nell’ambito dell’attuazione del Jobs Act, il riordino delle tipologie dei contratti di lavoro, ha apportato, tra l’altro, alcune modifiche sostanziali all’istituto del lavoro accessorio.
Pertanto, dallo scorso 25 giugno, data di entrata in vigore del decreto attuativo, per prestazioni di lavoro accessorio debbono intendersi le attività lavorative che non diano luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati.
Fermo restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma.
Già dalla lettura della definizione fornita dal legislatore della riforma emerge un’importante novità. Rispetto al passato, infatti, sparisce ogni riferimento alla “occasionalità” delle prestazioni.
In sostanza, ai fini della legittimità del contratto accessorio, è richiesto ora solamente il rispetto dei suddetti parametri economici, indipendentemente dalla natura delle prestazioni lavorative all’oggetto del rapporto.
Inoltre, le prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3.000 euro di compenso per anno civile da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. In questo caso, l’Inps provvederà a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori o professionisti debbono acquistare, esclusivamente attraverso modalità telematiche, uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, il cui valore nominale sarà fissato con decreto del Ministro del lavoro, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali.
In ogni caso, i cittadini privati potranno continuare ad acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate.
Sul punto, occorre segnalare che, nei giorni scorsi, la Federazione Italiana Tabaccai ha diramato un comunicato nel quale è stato precisato che, in base ad una convenzione in essere stipulata con l’Inps e rinnovata lo scorso febbraio, l’emissione dei voucher in tabaccheria equivale all’acquisto “con modalità telematica”, così come previsto dalla norma in commento.
In attesa della emanazione del citato decreto ministeriale, il valore nominale del buono orario è fissato in 10 euro.
Prima dell’inizio della prestazione, i committenti dovranno comunicare alla Direzione territoriale del lavoro competente, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.
Il prestatore di lavoro accessorio percepirà il proprio compenso dal concessionario, successivamente all’accreditamento dei buoni da parte del beneficiario della prestazione.
Per espressa previsione legislativa, detto compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Sul fronte contributivo, sarà parimenti il concessionario ad effettuare, per conto del lavoratore, il versamento dei contributi previdenziali alla Gestione Separata dell’Inps, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all’Inail, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, trattenendo l’importo autorizzato a titolo di rimborso spese.
Le disposizioni sin qui richiamate trovano applicazione anche in agricoltura e, nello specifico:
a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;
b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del D.p.r. n.633 del 26 ottobre 1972, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Nel settore agricolo, inoltre, occorre precisare che il valore economico dei buoni è pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Per quanto riguarda il settore pubblico, invece, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio è consentito unicamente nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.
In relazione, invece, agli stranieri operanti nel nostro territorio, il decreto attuativo dispone che i compensi percepiti dal lavoratore accessorio vanno computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
Da ultimo, si segnala che nella Nota n.4715 del 7 luglio 2015, l’Inail ha precisato che, contrariamente a quanto disposto dal decreto attuativo, la comunicazione di inizio della prestazione di lavoro accessorio deve essere inoltrata agli Istituti previdenziali e non alla Direzione territoriale del lavoro.
Dott. Valerio Pollastrini
Consulente del Lavoro
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