mercoledì, 5 Febbraio , 2025
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Acqua Pubblica, Nichi Vendola:”Il referendum non si tocca”.

Nichi Vendola, Sel

di Nichi Vendola

Sono davvero indignato dal tentativo in atto di sabotare l’esito del referendum sull’acqua. I grandi potentati economici, una parte rilevante e trasversale del ceto politico, un pezzo non marginale del sistema mediatico, sono tutti all’opera per esorcizzare quella inedita e bellissima pagina di democrazia scritta dal popolo nel nome della salvaguardia della vita e del vivente, contro il primato distruttivo del profitto speculativo e della mercificazione, a tutela dell’acqua come “bene comune” e come diritto universale, rivendicando la proprietà e la gestione pubblica non solo dell’acqua ma anche delle reti acquedottistiche, delle infrastrutture idriche, di tutte le opere dell’ingegno e dell’ingegneria che consentono la captazione, l’adduzione, la sanificazione, la depurazione e la distribuzione dell’acqua.

Il popolo ha parlato ma quelle parole, che hanno oggi la forza di un granitico vincolo giuridico, non sembrano valere. Si fa finta di niente. Si stigmatizza l’avventura referendaria come un fenomeno di irrazionalità plebea. Si teorizza il non tener conto di un verdetto firmato da milioni di italiani. Forse ci stiamo abituando davvero a tutto, in questa opaca transizione verso il nuovo (o verso il peggio). I maestri del pensiero dominante ci hanno istruito sulla incompatibilità, nell’epoca attuale, dei diritti sociali con le dure leggi dell’economia. E se quelle surreali e feroci leggi che regolano i mercati mettono in crisi la democrazia, allora che vada al diavolo la democrazia. La cultura liberale dei liberisti, nel suo sconfinato realismo, contempla anche qualche necessaria ancorché spiacevole parentesi autoritaria. Oggi cosa sia in Italia la democrazia io non so dire, la vedo pericolosamente irretita e sorvegliata da una tecnocrazia che prova a governare la crisi come se fosse un problema idraulico, che pratica la politica della tecnica come una peculiare tecnica politica di occultamento della realtà. La crisi è tutta politica, riguarda le disuguaglianze e le forme di accumulazione, riguarda quel capitalismo finanziario che ha sconvolto il vecchio capitalismo industriale, riguarda quel violento prevalere dei valori di scambio sui valori d’uso che ha inciso nella carne viva della bio-sfera inaugurando l’epoca della catastrofe ambientale: ahimè, la nostra epoca. L’acqua bagna tutto questo, di questo potere nichilista è metafora la sua privatizzazione, in questa crescita senza modernità si disperde. L’acqua perde il suo rapporto fondativo con la vita stessa, smette di essere fonte, foce, battesimo di vita: è business privato, maleficio pubblico. Guadagnando un prezzo, perde il suo valore. Lo decidono i consigli di amministrazione che, per ovvie ragioni di profitto, peggiorano i servizi e innalzano le tariffe. Che fare? Noi in Puglia, dopo una lunga fase di risanamento di un’azienda assai vicina al fallimento e collocata nell’immaginario della grande opinione pubblica nazionale al vertice delle aziende di spreco («l’acquedotto che dà più da mangiare che da bere»), abbiamo deciso di operare la ripubblicizzazione del nostro ciclope idrico. Ricordo che Acquedotto Pugliese è il più grande d’Europa, uno dei più grandi al mondo. Oggi quella decisione, sancita dal Consiglio regionale all’indomani del referendum, pende, per volontà del governo Berlusconi, dinanzi alla Corte Costituzionale. Attualmente Acquedotto è una Spa interamente posseduta dalla Regione. Con le entrate legate alla tariffa non remuneriamo il capitale privato (che nel nostro caso non esiste), bensì finanziamo gli investimenti legati alla manutenzione e alla modernizzazione di una rete acquedottistica e fognante di decine di migliaia di chilometri e un parco di centinaia di depuratori. Tuttavia il tema della tariffa, per la fruizione di un servizio universale come quello idrico, non può essere ridotto a mera compatibilità giuridica o economica. In questi mesi abbiamo studiato la possibilità di indicare all’autorità di prezzo (che non è la Regione né lo stesso Acquedotto, ma l’Ente idrico governato dai sindaci) un significativo abbattimento delle tariffe, sia come misura anti-crisi sia come scelta politica in linea con l’esito referendario. Insomma l’obiettivo è abbattere le tariffe senza ridurre i cantieri e le opere. La Regione oggi è in grado di garantire il completamento di tutti gli investimenti previsti nel Piano d’Ambito, anche coprendo le minori entrate da tariffa. La raccomandazione che mi sento di rivolgere è quella di dare un più marcato segno di giustizia sociale nella contabilità fiscale, per cui la tariffa possa essere molto più temperata nelle bollette di chi è socialmente più svantaggiato. Insomma, ognuno dovrebbe far qualcosa per non consegnare agli archivi una grande battaglia di civiltà. E tanti, insieme, dovremmo tornare a difendere i “beni comuni” con l’accortezza di non traformare questi temi e queste lotte in bandiere per controversie minoritarie. L’acqua, la terra, l’aria, il cielo, la natura, la cultura, la qualità della vita, il lavoro, la dignità umana: tutto questo è aggredito dal cannibalismo del potere. Oggi si vede cosa significhi l’espressione «follia del Capitale». Siamo in campo non per testimoniare la fatalità della sconfitta, ma la possibilità continua di irrompere nel recinto del comando per cercare di cambiare storia.

L’articolo è stato pubblicato da “il manifesto” del  2012.01.15

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