Terza puntata dello speciale dedicato alla Comunicazione a cura di Eduardo Saturno
Da ciò che è stato detto precedentemente appare chiaro che il linguaggio non è solo come poteva prevedere il
modello definito meccanico un semplice contenitore che serve a trasferire il messaggio che è comunque completo, ma è uno strumento essenziale di rappresentazione del mondo, è qualcosa legato al pensiero in maniera molto stretta non solo perché è il veicolo delle rappresentazioni ma anche perché è uno strumento di queste rappresentazioni. Se è così ha anche un’altra caratteristica importante che è quella di essere socialmente e culturalmente definito. Il linguaggio non è l’invenzione di un singolo, esprime appartenenze, esprime uno sguardo sul mondo che non è di una persona ma di un’intera collettività. Le parole, il modo in cui noi ci riferiamo agli oggetti derivano da una tradizione antica ed esprimono il senso profondo del nostro agire nell’ambito della collettività, il senso della nostra intrinseca socialità. Se tutto questo è vero esiste un rapporto non semplice, non lineare e bidirezionale fra linguaggio e pensiero. Molto spesso è il linguaggio che causa il pensiero, avendo delle parole per definire gli oggetti e il modo in cui la lingua è strutturata mi condiziona in maniera evidente il modo in cui io posso relazionarmi agli oggetti. Pensiamo ad esempio all’ipotesi del relativismo linguistico e al fatto che alcune lingue hanno dei modi specifici di rapportarsi alla realtà che sono caratteristici ad esempio di un certo popolo.
Lo sviluppo più coerente di questa prospettiva che vede questo rapporto tra pensiero, linguaggio e comunicazione come qualcosa di estremamente complesso e articolato si deve ad un autore che consideriamo al centro di questa prospettiva innovativa, la psicologia sociale, che ricorrerà abbastanza spesso nella lezione odierna che è il sociologo Michael Billig il quale a partire da alcune riflessioni del 1987 poi sviluppate in tutta la successiva crescita di questo filone, ha individuato una direttrice da lui definita psicologia sociale retorica che parte dall’idea della natura intrinsecamente dilemmatico argomentativa del pensiero. Il pensiero è costantemente alla ricerca di certezze e quindi di chiusure e quindi di decisioni, di conferme ed è quello di cui si è occupata a lungo la psicologia cognitiva. Come le persone possono mettere ordine nel caos della realtà, anche il pensiero è costantemente alla ricerca di smentite rispetto a quello che già sa, di ricerca. Nella necessità da parte del cervello, di ricercare continuamente opzioni diverse di interpretazione rispetto alla realtà sta questa capacità critica, di negare una certa soluzione, una certa immagine, interpretazione della realtà per poterne immaginare una del tutto opposto.
Per cui il pensiero singolo ha la stessa struttura delle conversazioni pubbliche, delle contese in cui c’è una persona che la pensa in un modo e una persona che la pensa in un altro. E queste due opinioni vengono messe a confronto e quindi considerate da colui che, poniamo legge un articolo di giornale o ascolta una qualunque conversazione sociale come una fonte di informazione per potersi fare un’opinione. Bene dice Billig che il pensiero privato è un continuo contrapporre un’ipotesi al suo opposto. Nel momento in cui noi facciamo una scelta, abbiamo necessariamente scelto di non scegliere l’altra opportunità e quindi abbiamo optato per uno dei corni di un dilemma; se io decido di fare una certa cosa ho deciso di non farne delle altre e quindi nel chiudere io scelgo e nello scegliere ho presente le alternative possibili e argomento nella mia testa a favore dell’una o dell’altra alternativa. Questo processo costante che diventa un dialogo con noi stessi. Quante volte c’è capitato di parlare a noi stessi in seconda persona, oppure confrontare due punti di vista come se fossero sostenute da due persone diverse che magari immaginiamo nella mente. La decisione è sempre il risultato di una procedura di tipo dilemmatico argomentativo. L’argomentazione intesa come struttura di pensiero. Billig ha il merito di aver recuperato questa antichissima tradizione nell’ambito delle scienze umane che è quella della retorica antica. Mentre è facilissimo vedere la estrema superiorità della tecnica attuale rispetto alla tecnica di 2000 anni fa, nessuno dubiterebbe che un’automobile ha una capacità tecnica di raggiungere un obiettivo superiore a quello dei cavalli. Lo stesso non si può dire per le scienze umane, non si può dire che la psicologia di oggi sia tanto superiore a quello che poteva essere assimilabile a quella che oggi consideriamo la psicologia di 2000 anni fa, a quelli che erano gli studi di retorica.
Billig richiama questo contributo fondamentale di Protagora il quale afferma che intorno ad ogni argomento (tema) esistono almeno due asserzioni contrapposte e che è possibile continuamente sostenere la bontà di un argomento piuttosto che di un altro: quello che gli antichi retori facevano come esercizio dialettico. L’importanza di questa cosa ai fini di un raccordo tra questa prospettiva e la psicologia è che ogni argomento intanto è efficace in termini persuasivi perché rimanda ad un determinato contesto di significato. L’argomento è qualcosa che situa la scelta possibile dentro una tematica, una struttura di senso che è diversa a seconda dei tipi di argomenti. Gli argomenti richiamano, rilanciano questa dinamica di rappresentazione che sta a monte di questo mio discorrere, del mio argomentare dialettico sia con gli altri che con me stesso nella misura in cui anche un pensiero privato è un pensiero dilemmatico argomentativo. Se è così allora il nostro pensiero in quanto argomentazione e la nostra interazione sociale con gli altri in quanto arena di costruzione collettiva delle opinioni è un susseguirsi infinito di argomentazioni e contro argomentazioni per cui sono possibili sostanzialmente scelte prese di posizione in relazione a diversi oggetti del nostro lavoro praticamente senza fine.
Il confronto tra cognitivismo e socio ostruzionismo
Lo psicologo statunitense Kenneth Gergen propose di usare il termine socio-costruzionismo e non socio costruttivismo per differenziarlo da una prospettiva psicologica abbastanza diffusa che è molto vicina a quella cognitiva di costruzione delle rappresentazioni sulla realtà. I nodi di questa contesa si possono riassumere in questo modo:
1) siamo d’accordo che il nostro rapporto con la realtà è mediato dalle nostre rappresentazioni della realtà, ma
dove sono queste rappresentazioni? Qual è il luogo di queste rappresentazioni? Da dove vengono? Per la critica socio-costruzionistica il limite dell’approccio cognitivo sta nel fatto di pensare che abitino nella mente degli individui. Che quindi siano delle caratteristiche del sistema mentale in quanto tale, mentre invece secondo la prospettiva socio-costruzionistica le rappresentazioni sono, vivono nel dialogo nel discorso, nel linguaggio, nello scambio interpretativo tra le persone.
2) lo scopo della ricerca sul fronte cognitivo con un legame evidente e una prospettiva di tipo positivista sta nel fatto di scoprire la verità delle cose, dei fatti e quindi tutto lo studio sui bias cognitivi è costruito sullo scarto che esiste tra la realtà che ha delle sue caratteristiche oggettive e la sua percezione distorta che in qualche misura gli individui hanno di questa realtà Per i socio costruzionisti la ricerca deve puntare a rilevare i meccanismi di interpretazione della realtà posto che come insegna tutto il filone relativista non esista una verità oggettiva ma soltanto delle interpretazioni soggettive che persone definite in un contesto specifico culturale danno di un determinato fenomeno.
3) Il metodo. Da un lato la sperimentazione, la generalizzazione, l’approccio quantitativo anche se questo rapporto non è così immediato e necessario dall’altro invece la descrizione di un fatto, di un evento, di una specifica tipologia di rapporto con la realtà. Facciamo un esempio spesso utilizzato in questo ambito. Pensiamo alla categorizzazione, un meccanismo fondamentale di risparmio di risorse cognitive. Sul fronte cognitivo in senso stretto la categorizzazione è una modalità necessaria di funzionamento della mente per far fronte al sovraccarico informativo. Si mettono insieme cose simili per ridurre il numero di unità con le quali si lavora. E questo è un meccanismo necessario, tipico della mente umana. Nell’altro caso la categorizzazione invece è uno strumento di conoscenza costruito nel discorso, radicato in esso per fini essenzialmente sociali, culturali che cambia di volta in volta a secondo delle finalità e delle persone che sono coinvolte nel discorso stesso. In questa prospettiva si verifica un livello elevato di scontro, nel senso che pur essendo queste due prospettive a mio avviso unificate da questa idea della rappresentazione, cioè dal fatto che il nostro rapporto col mondo è mediato dalla rappresentazione mentale la quale ha o un maggiore o un minore radicamento esterno nel discorso e nella socialità ma che comunque è un dato di fatto che il nostro rapporto con la realtà sia mediato dalla rappresentazione. Una interessante soluzione che va valorizzata fortemente è una prospettiva di tipo interazionista. Io posso ipotizzare che questa rappresentazione mentale pur essendo in qualche misura una necessità del mio sistema mentale di fatto non si attua e non si riempie di contenuto se non in riferimento al rapporto che ho con gli altri, con un altro che mi aiuta a guardare il mondo secondo quella prospettiva di sguardo ternario che noi abbiamo sul mondo cioè io guardo con un occhio al mondo e con un occhio al mio simile che sta guardando il mondo.
Questa ipotesi è stata a lungo sostenuta dai primi interazionisti, ma poi anche da una serie di persone che sono rimaste molto ai margini delle nostre discipline ma che sono molto interessanti. Una di queste è Carlo Cattaneo che è stato il primo al mondo ad utilizzare la locuzione psicologia sociale, la quale nasce in Italia. La usò in una serie di conferenze tenute a Milano a partire dal 1859 dal titolo “Psicologia delle menti associate dell’antitesi come metodo di psicologia sociale”. Lui punta a sottolineare l’assoluta superiorità del pensiero sociale sul pensiero individuale partendo dall’idea che il pensiero sociale è sempre sostanzialmente un confronto fra punti di vista opposti. Ci sono alcune citazioni espresse nelle varie conferenze “il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola; il genio si tiene per mano alla catena dei suoi precursori” questa necessità del contatto e del confronto per la crescita del pensiero” perché si déstino le idee, devono attuarsi i più generosi istinti, devono infervorarsi gli animi. La corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti”, qui si sente anche l’epoca nella quale scriveva.
Ancora, ”ogni obiezione comanda una risposta; ogni ragionamento comanda un ragionamento logicamente correlativo che stringe in amplesso inseparabile le opposte idee.” E poi “i ragionatori al cospetto dell’idea sono fabbri che martellano uno stesso ferro; sono ciechi strumenti di un’opera comune. Ogni nuovo sforzo aggiunge un anello alla catena che trascina ambo le parti nel vortice della verità”. Si sente la posizione positivista di Cattaneo per cui tutto questo mira al raggiungimento della verità oggettiva dei fatti, naturalmente nella prospettiva costruzionista relativista che stiamo esaminando. Tutto questo non è accettabile, ma è chiara l’ idea che dal confronto dei punti di vista emerga la crescita, la ricchezza delle opportunità interpretative. In Cattaneo c’è il concetto che il sistema sociale e culturale sia la somma di un insieme infinito di confronti e di contrapposizioni produttive tra punti di vista opposti. Questa è una posizione che mostra queste sensibilità interazioniste cui si accennava in precedenza e che ha la possibilità di coniugare in qualche modo la contrapposizione tra un approccio cognitivista duro rigido e un approccio socio-costruzionista estremamente radicale che rinuncia alla possibilità di considerare i processi mentali come delle entità dotate di senso a prescindere dai loro contenuti che sono poi socialmente costruiti. Di tutto questo, dilemmi, costruzione del consenso tramite persuasione dialettica si è occupata da sempre la retorica antica che nasce 2500 anni fa e che ad opera di Billig nell’ambito della psicologia sociale e di altri in diversi campi si è messa recentemente in moto con una sostanziale rivalutazione. Perché alla retorica sono associate delle idee non precisamente positive. Se cerchiamo in un dizionario la parola retorica probabilmente troveremo una definizione di questo tipo: arte di convincere gli altri per mezzo di un discorso particolarmente ornato di abbellimenti stilistici. L’idea che la retorica sia sostanzialmente convinzione degli altri attraverso una ridondanza di tipo ornamentale.
Ma nel senso comune all’idea di retorica è associata la definizione: l’arte di convincere del falso; o comunque di che è di vantaggio a chi parla, cioè la retorica come strumento di manipolazione, sostanzialmente. Questo si deve all’uso che della retorica è stato fatto, soprattutto nell’ambito del ‘900 e soprattutto da parte di regimi totalitari che l’hanno usata per produrre consenso intorno a scelte che non erano nell’interesse dei governati. Se risaliamo all’antica origine dell’espressione della scuola retorica la definizione più corretta e positiva è: l’arte di organizzare il pensiero e il discorso al fine di convincere gli altri circa la bontà delle proprie posizioni. Quindi che la retorica serva per convincere gli altri non c’è alcun dubbio e a questo riguardo si narra un aneddoto abbastanza gustoso. Uno dei primi allievi che poi diventerà un grande maestro di retorica, alla fine di un Corso disse al suo maestro: “io non ti pago perché o riesco a convincerti che non ti devo pagare e quindi non ti pago oppure se non riesco a convincerti che non ti devo pagare vuol dire che tu non mi hai insegnato bene e quindi non ti pago”. Questo episodio mette in luce l’ idea del convincere e di farlo nei propri interessi contro gli interessi dell’altro se lo vogliamo dire così, ma che la retorica sia arte di organizzare il proprio pensiero in modo da renderlo vittorioso nella contesa argomentativa. Non c’è quell’aspetto palesemente falso né quell’aspetto totalitaristico anzi la retorica origina in Grecia nel momento in cui nella democrazia nascente si pongono il problema che le persone valgono non tanto per chi sono ma per come sanno argomentare nel foro, nella piazza, le proprie opinioni e quindi la retorica come arte di argomentare. C’è una classica divisione in cinque parti della tradizione millenaria, sono in latino: Inventio come si trovano gli argomenti, la Dispositio, come si mettono gli argomenti nel messaggio, le Elocutio come si colorano e si presentano meglio gli argomenti, la Memoria modalità di memorizzare ed essere padrone dei propri argomenti avendoli tutti a mente e infine Pronuntatio come si declamano effettivamente. Mi preme di segnalarvi il ruolo fondamentale della metafora che è una figura retorica fondamentale che però ha un rapporto strettissimo con i processi mentali cognitivi di costruzione delle rappresentazioni. La metafora è un trasferimento di senso da un ambito consolidato a uno nuovo, di cui io sono interessato a far rilevare degli aspetti portandomi dietro il senso dell’ambiente di senso, di significato che invece è più conosciuto più noto.
Per cui se io dico “il leone è il re della foresta” io sto trasferendo all’ambito della vita animale una concettualizzazione che è quella riferita ai rapporti sociali, gerarchici feudali in cui il Re ha certe potenzialità , certe possibilità. Questo serve molto non solo come fenomeno del linguaggio, nel senso che è un abbellimento, una possibilità di migliorare la presa che il mio discorso fa sull’uditorio, ma anche proprio in termini di potenzialità di pensiero perché attraverso la metafora attivo degli ambiti di senso, di significato che sono particolarmente importanti per quello che dirò successivamente, per lo sviluppo delle mie argomentazioni. La metafora è in stretta connessione coi processi di organizzazione e inferenza che abbiamo visto essere le due necessità del nostro sistema cognitivo cioè semplificare, mettere insieme e dall’altra parte fare inferenze dal noto al non noto tra il vedo e quello che non vedo per poterne inferire nei comportamenti, cioè il leone si comporterà in un certo modo. Dunque non un ornamento, ma semplicemente una parte costitutiva del pensiero stesso. Perché proprio a partire da questo confronto di ambiti di senso diversi che scatta quell’insight cognitivo, quella possibilità di organizzazione nuova dei dati che ci consente di pensare, riflettere e generare quelle nuove idee che vengono giocate sul tavolo dell’argomentazione, del dilemma, sia individuale che sociale. È per questo che la metafora è molto più diffusa di quello che noi pensiamo, perché l’idea di usarla come immagine riconoscibile in quanto tale è abbastanza chiara. Tutto questo è una possibilità di riflettere in maniera molto approfondita sui meccanismi delicatissimi su cui si fonda il nostro pensiero sociale. L’ultimo punto riguarda l’approccio narrativo e quindi l’idea che il pensiero si strutturi secondo delle sequenze. Qui faccio riferimento a questa corrente definita “del pensiero narrativo” che oppone una conoscenza che Jerome Bruner chiama paradigmatica cioè fondata sugli elementi oggettivi, sulla realtà e sull’analisi a una conoscenza narrativa che invece è una conoscenza sintetica che punta allo sviluppo di un racconto che ha una sua struttura tipica, c’è un problema, c’è un eroe, un nemico, un ostacolo, la costruzione narrativa del senso è una delle possibilità e necessità più impellenti del nostro sistema cognitivo e quindi diventa un elemento centrale di influenza e di persuasione. Per concludere parliamo di opinione pubblica, di senso comune, di persuasione. Il senso comune come sedimento di argomentazioni, come accumulazione progressiva degli esiti di questo dialogo argomentativo e quindi i valori e la cultura come progressivo accumulo di prese di posizione sui dilemmi sociali, sulle questioni fondamentali intorno il ragionamento, l’argomentazione si è strutturata ed è diventata appunto senso comune, È per questo che anche gli atteggiamenti che sono stati l’oggetto di tutta la ricerca sulla comunicazione, sugli effetti della comunicazione possono essere definiti sempre in quanto scelte in quanto negoziazione di un contro atteggiamento che viene rifiutato nella misura in cui si accetta questa idea della natura dilemmatica argomentativa del pensiero individuale, del pensiero sociale e quindi anche dell’opinione pubblica e del senso comune. Per cui l’idea che il pensiero sia per sua natura argomentativo dilemmatico, che su questo tema ci sia un confronto anche abbastanza ampio e serrato tra cognitivismo e costruttivismo trova una sua possibilità di riunificazione proprio in questa idea che la rappresentazione del mondo non nasce nella testa dei singoli ma viene costruita con gli altri con un ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione di massa.