Comunicazione e sessismo

Nuova puntata dello speciale dedicato alla Comunicazione a cura di Eduardo Saturno

Gli stereotipi di genere. Sono alla base del sessismo. Storicamente il sessismo si configura come un pregiudizio
costruito che crede uomini e donne siano profondamente diversi e che assegna una certa superiorità maschile
soprattutto ad alcuni settori legati al fare, alla produttività. Nel linguaggio mediatico la figura della donna è quasi sempre associata alla cura e alla disponibilità sessuale. Le piccole differenze concernono soprattutto le abilità motorie ed alcuni atteggiamenti verso la sessualità occasionale e l’aggressività che sono maggiori negli uomini. Per tale motivo il modello di Hyde è stato denominato della similarità.

Lo stereotipo femminile nei media
Nei media le donne sono associate soprattutto al corpo. Degli uomini normalmente si sottolinea il viso. Alcuni studi sono hanno interessato dipinti, programmi televisivi fotografie e si è visto che effettivamente esiste un diverso modo si inquadrare uomini e donne. E questo ribadisce il concetto che l’uomo è associato a competenza, intelligenza, cultura, la donna invece a calore, natura, corpo e rimanda ad una immagine meno positiva della stessa. Osservando le donne in tv vediamo che cambiano le inquadrature, i tempi, gli spazi e le interruzioni (nei talk show le donne sono meno presenti, parlano meno e sono interrotte più facilmente, hanno un ruolo più decorativo) e i fenomeni di Tokenism diventano una sorta di specchietto per le allodole. Quella donna è li perché il programma non deve essere accusato di sessismo e quindi di non dare spazio alle donne, garantendone comunque la presenza). In sintesi il tokenismo è la politica o la pratica di fare un gesto profondo verso l’inclusione di membri di gruppi minoritari. Questo sforzo di token è di solito destinato a creare un’apparenza di inclusività e deviare le accuse di discriminazione. Tipici esempi includono l’assunzione di una persona non bianca in una occupazione principalmente bianca o di una donna in un’occupazione tradizionale maschile. Classicamente, i personaggi del token hanno una ridotta capacità rispetto agli altri personaggi e possono avere personalità insopportabili o inoffensive per non essere accusati di stereotipare i tratti negativi. In America, la pratica e il concetto divennero parte della cultura popolare alla fine degli anni ’50. Martin Luther King ha discusso il tema nel 1963 nel suo libro “Perché non possiamo attendere”; Nello stesso anno, Malcolm X ha detto a un intervistatore: “Che cosa guadagna? Tutto quello che hai ottenuto è il tokenismo, uno o due negri in un posto di lavoro o in un banco di pranzo, in modo che il resto di voi sarai tranquillo. L’immagine della donna risalta di più fra le vittime e meno fra gli esperti. La pubblicità presenta le donne sempre con delle connotazioni particolari, ovvero sono sempre molto giovani, belle, impegnate ad apparire, ovvero molto concentrate sul proprio corpo e presentano nella pubblicità maggior cura sia rispetto al corpo sia rispetto alle relazioni (madre, moglie, ecc). D’altro canto gli uomini sono solitamente autonomi, competenti, impegnati nel lavoro extradomestico e nello sport. Quindi sono legati a quella dimensione del fare e dell’agire. Recenti studi documentano una regressione delle pari opportunità. Nella maggior parte delle pubblicità si usa il corpo femminile per attrarre l’attenzione. Recentemente (ultimi 10 anni) le ricerche si sono occupate dei video musicali. Si è riscontrato che i video di maggior successo avevano in maggioranza protagonisti maschili. Le figure decorative erano femminili (le ballerine) con una grande sessualizzazione delle stesse, presentate truccate, spogliate, con atteggiamenti di invito sessuale in maniera più forte di come vengono presentati gli uomini. Altro campo di ricerca concerne i videogiochi. In psicologia sociale c’è una corrente di ricerca molto giovane che si occupa di video giochi che ha riscontrato che l’86% dei personaggi sono uomini. Il protagonista classico è maschile. I personaggi femminili hanno un ruolo di presentazione (marginali e decorativi) ed hanno corpi poco realistici, con un’alta sessualizzazione (sempre poco vestiti con dei ruoli legati all’eccitazione sessuale).

In Grand Theft Auto un video gioco molto discusso perché si delinea una carriera criminale, questo dovrebbe farci riflettere. Infatti il giocatore è indotto a compiere una serie di azioni riprovevoli (stupri, uccisioni; furti, tortura). Dato lo sviluppo dei videogiochi violenti, si è cercato di studiare quali emozioni si provano e si è visto che giocare a videogiochi violenti provoca aumento dell’aggressività, diminuzione del comportamento pro-sociale; un disimpegno morale ovvero una sorta di desensibilizzazione rispetto all’immoralità, infine troviamo una legittimazione della violenza (si crea una sorta di assuefazione della violenza).

Processi di oggettivazione e auto-oggettivazione
L’oggettivazione sessuale si verifica quando ci si concentra sul corpo o su parti del corpo di una persona, invece di considerarla nella sua completezza. Oggettivare significa ridurre le donne (ma sempre più anche gli uomini) a oggetti di consumo, uguali, interscambiabili, privi di individualità, a disposizione di altri. Il nucleo della oggettivazione è qualcosa di acquisito dalla nostra cultura sulla quale non si riflette abbastanza. Sempre più nei media troviamo figure oggettivate anche maschili. La pubblicità che troviamo per strada,( gigantografie per esempio), è molto inquietante (invasiva) perché non si può evitarla. Quindi volenti o nolenti siamo costretti a vedere seni in mostra e altro. Le immagini mediatiche che oggettivano la donna provocano delle conseguenze. Le ricerche hanno dimostrato che influenzano i giudizi sulle donne, diffondono gli stereotipi di genere, aumentano l’accettazione del mito dello stupro (ovvero la credenza molto diffusa che la donna provochi in qualche modo lo stupro con il suo comportamento); facilitano molestie e violenza sessuale. L’Auto-oggettivazione è l’interiorizzazione su di sé della prospettiva dell’osservatore su di sé, la donna guarda se stessa come se si guardasse dal di fuori, è particolarmente interessata a come gli altri la vedono nel concentrare tutta la sua attenzione sul suo corpo. Questo si manifesta con una persistente sorveglianza del corpo. Le conseguenze dell’auto-oggettivazione riguardano l’aumento di emozioni negative, come ansia e la vergogna (le donne sono sempre più preoccupate del loro corpo perché c’è questa imposizione di standard a cui è molto difficile adeguarsi); vi è un abbassamento delle prestazioni cognitive (se penso sempre a come il mio corpo si presenta agli altri le energie positive, che sono limitate, si sprecano e le energie cognitive da applicare in altri compiti di lavoro saranno limitate). Questo aspetto è particolarmente grave negli adolescenti. Altri aspetti sono minori esperienze ottimali (flow), minor consapevolezza dei propri stati interni. Infine troviamo conseguenze più gravi come la depressione (vi è collegamento diretto con il non piacersi), le disfunzioni sessuali e i disordini alimentari. Uno studio fatto da Becker alle Fiji dimostra che in queste isole le preoccupazioni per il peso e l’aspetto fisico, disturbi alimentari e disprezzo per il proprio corpo sono comparsi con l’introduzione della televisione nel 2004.