Leoni da tastiera

di Eduardo Saturno

Sul web, sin dall’inizio della sua diffusione, sono emersi quelli che in gergo vengono definiti ‘’leoni da tastiera’’. Sono quelli che si presentano come paladini di una morale o di una giustizia popolare. Si arrogano il diritto di puntare il dito su qualsiasi situazione non gli vada a genio e, senza remore, sono disposti a dare il loro personale parere (non richiesto nella maggior parte dei casi) su altre persone. Opinioni sicuramente non costruttive, anzi spesso condite con insulti e aggressività. Sono delle furie, mossi da un fuoco interno. Rispondono, volgarmente, creando un putiferio degno di qualsiasi lotta patriottica.
Ciò che sorprende è che, in tutti i singoli casi, singolarmente e nella realtà, non sono per nulla quello che vogliono mostrare sul web. Di presenza diventano agnellini, pronti, talvolta, anche a snobbare atteggiamenti prepotenti e bellicosi. Eppure il web, o meglio Facebook, il vero catalizzatori di persone passive aggressive, ne è sommerso . Oggi cercheremo di aprire una piccola riflessione sul perché.
Si è già scritto in altri contesti su ciò che i social creano nella sensazione delle persone, di come se utilizzato senza consapevolezza si può sfociare in sensazioni totalmente negative. Ogni sentimento che si prova nella realtà viene enfatizzato sul web. Anche la frustrazione. Se la uniamo all’ ignoranza e alla percezione che c’è uno schermo che protegge l’identità del soggetto abbiamo già una semplicistica descrizione del perfetto leone da tastiera. In più c’è il gruppo.
Possiamo ricercare trattati che già parlavano della spersonalizzazione, di come il soggetto, sentendosi forte in gruppo, dà voce a pensieri che risiedono in lui. Gustave Le Bon, nel 1895, analizza il ruolo delle masse ne ‘’Psicologia delle folle’’. Lui considera così la massa: ‘’Crea un inconscio collettivo attraverso il quale l’individuo si sente deresponsabilizzato e viene privato dell’autocontrollo, ma che rende anche le folle tendenti alla conservazione e orientabili da fattori esterni, e in particolar modo dal prestigio dei singoli individui all’interno della massa stessa’’.
L’uomo civilizzato, se incitato, nella massa, diventa un barbaro, un uomo delle caverne. Anche perché, nell’immaginario collettivo, si tende a dimenticare che essere in rete non esclude avere una vita e dei sentimenti. Insultare sui social non sembra avere il peso che ha nella vita reale. Uno può permettersi di dare della meretrice ad una modella in costume da bagno, ma nel momento in cui se la ritrova davanti non ci penserebbe due volte a rimanere in silenzio.

E’ difficile capire chi realmente si celi dietro ai profili. Alcuni, stupidamente, usano profili personali, Altri sono profili falsi. Ci sono padri di famiglia, studenti universitari, ragazzini, casalinghe. Insomma, una pluralità di ogni ordine e grado di tutti i ceti sociali, pronti a scatenare discussioni su discussioni, per il solo gusto di manifestare se stessi, in un moto di auto gratificazione come se stessero su un palcoscenico dove chi legge sono gli spettatori che lo applaudono.
Le motivazioni che spingono le persone ad adottare certi comportamenti, oltre alla spinta dell’essere immersi nella massa (e quindi più stimolati e protetti), riguardano il tema dell’insicurezza. Così come i bulli della vita reale, sono in realtà soggetti estremamente problematici che hanno bisogno di sfogare la loro rabbia per il mondo, allo stesso modo, gli hater nascono delle lacune.
La componente interpersonale gioca un ruolo fondamentale. Proprio perché si sentono soli, dietro uno schermo, in una stanza vuota, cercando il consenso dei più. E poi c’è la paura, la gelosia, l’insoddisfazione e, a volte, anche qualche disturbo antisociale. L’insicurezza, però, sembra essere l’elemento preponderante nel sentirsi parte di un gruppo, il ricevere like o commenti fomenta le gesta, diventando un piccolo riempimento allo smarrimento e alla solitudine che provano.
Elementi come paura e gelosia, vengono ammortizzati da un fittizio senso di appartenenza con altri leoni da tastiera. Anche buttare fuori rabbia e frustrazione, ovviamente, trova uno sfogo nell’odio social. Questo, potrebbe essere legato al piacere di poter essere ascoltati da qualcuno, quando, magari, nella realtà nessuno è disposto ad ascoltare, o quando certe cose risulterebbero troppo estreme da dire e costerebbero perdite sociali.