Mariella Volpe
Economista, Forum Disuguaglianze e Diversità
Pietro Spirito Gianfranco Viesti ha definito questi LEP ( livelli essenziali prestazioni )una mistificazione: riescono a ridurre le disuguaglianze oppure come dice Gianfranco Viesti sono solo specchietto per le allodole?
Mariella Volpe Ringrazio molto dell’opportunità e della possibilità di segnalare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’estrema gravità di quello che sta accadendo. Il disegno di legge Calderoli è passato al Senato, sono state totalmente inascoltate le voci di autorevoli istituzioni – dalla Banca d’Italia alla Corte dei Conti, dall’Ufficio parlamentare di bilancio alla SVIMEZ – che hanno espresso perplessità e segnalato i possibili rischi, così come è stato mortificato il ruolo del Parlamento.
E questo apre un serissimo problema di metodo; quella della autonomia differenziata è una operazione che riguardando, da un lato, i reali diritti sociali esigibili da ogni cittadina e cittadino italiani, e, dall’altro, i meccanismi di finanziamento delle Regioni, sarebbe dovuto avvenire con un grande dibattito pubblico e, soprattutto, preservando il Parlamento nell’esercizio delle sue prerogative.
Ma veniamo al merito, e quindi alla domanda. Abbiamo detto moltissime volte che il problema non è l’autonomia in sè, ma questa autonomia, quella prevista dal Disegno di Legge Calderoli, che contraddice una serie di principi costituzionali, in particolare quelli di solidarietà, perequazione, unitarietà delle politiche pubbliche e il diritto a pari prestazioni a prescindere dal luogo di residenza.
Proprio quest’ultimo diritto dovrebbe appunto essere garantito dai LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, la cui importanza è sancita dall’articolo 117 della Costituzione e ribadita dalla legge 42 sul Federalismo fiscale a firma dello stesso Calderoli.
I LEP, detto in modo semplice, sono degli indicatori della misura effettiva dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti ad ogni cittadino e cittadina italiana, in condizioni di uniformità, di solidarietà e anche di efficienza. Quindi ovviamente sono il cuore del problema e dovrebbero essere anche il cuore del provvedimento. E’ importante dire che non sono cose teoriche, sono oggetti vivi, sono scuole, mense scolastiche, assistenza agli anziani, prestazioni sanitarie, trasporto pubblico e così via. In definitiva sono il sogno di uguali diritti civili, sogno particolarmente importante in un Paese duale e fortemente sperequato come il nostro.
Ma i LEP, attraverso varie cancellazioni e varie diminutio sono sostanzialmente morti. Passerà il DdL sostanzialmente senza LEP, sia con riferimento alla definizione che con riferimento al loro finanziamento. O almeno c’è una previsione di tempi eterni, ma anche poco chiara che lascia ampi spazi di indefinizione, se si va a guardare il combinato disposto del Disegno di legge, del “milleproroghe” e della legge di bilancio 2023.
Perché non sono stati definiti e perché è difficile definirli? Perché il mancato finanziamento porta ad una cristallizzazione delle disuguaglianze? Quali sono – o almeno quali si cerca di ricostruire – i tempi per la loro attuazione?
Cominciamo con la definizione. L’errore a monte è stato quello di pensare che in tempi brevissimi – sei mesi erano previsti dalla legge di bilancio 2023 – i LEP potessero essere definiti, dalla Commissione CLEP presieduta da Sabino Cassese e composta da autorevoli membri. Ora ai LEP si sta lavorando dal 2001 con la costituzione di innumerevoli commissioni e gruppi di lavoro e non si è mai riusciti ad arrivare ad una loro definizione, in parte per oggettive difficoltà statistiche poiché l’uso di diversi indicatori porta a risultati completamente diversi, ma soprattutto perché il passaggio
dalla spesa storica a parametri oggettivi di fabbisogno, rende necessaria una sorta di mediazione degli interessi tra le diverse comunità e parti coinvolte.
In tutto questo periodo, si sono scontrate due concezioni di Livelli essenziali delle prestazioni: la prima, quella del mondo accademico, degli studiosi attenti al superamento delle disuguaglianze, rivolta più che altro alla ricostruzione dei fabbisogni aveva come obiettivo quella di individuare una modalità che “dal basso” (tecnicamente si dice con un processo bottom up) arrivasse alla definizione dei fabbisogni della popolazione, servizio per servizio, arrivando a dei livelli di prestazione essenziali.
La seconda concezione – che in tutti questi anni ha sposato soprattutto la Ragioneria generale dello Stato e che è poi quella che sta attualmente prevalendo – è una definizione di livelli minimi intesi come quelli che il sistema pubblico riesce a garantire in presenza di una dotazione di risorse limitata.
Con un processo che viene definito top down, dall’alto verso il basso, si parte dalla “torta” delle risorse disponibili e attraverso un processo per approssimazioni successive si arriva alla determinazione dei LEP, pervenendo ad un riparto di un ammontare complessivo di risorse predeterminato per via esterna e non dissimile da quello attuale.
Ma questo è particolarmente grave in una realtà come quella “duale” italiana, poiché ipotizza che la spesa attualmente esistente sia in qualche modo quella giusta, tornando di nuovo alla spesa storica.
Ancora più complicata è la questione del finanziamento. Perché LEP senza finanziamento significa proprio spesa storica, e questo è ciò che il Disegno di legge Calderoli ipotizza: “dall’applicazione della legge e dalle conseguenti Intese non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e al tempo stesso è garantita l’invarianza finanziaria (…) per le singole Regioni che non siano parte dell’Intesa”.
Quindi la definizione dei LEP ha come obbligo il vincolo di bilancio. Non a caso i membri
dimissionari del CLEP dichiarano letteralmente che “finché non sono stati determinati tutti i LEP e non sono stati ridefiniti in relazione ai loro costi standard gli strumenti e i modi per assicurare a tutte le Regioni un’effettiva autonomia tributaria che consenta loro di finanziare integralmente i LEP medesimi, l’effettiva portata di questi principi resta indeterminata e indeterminabile”.
E veniamo alla questione delle disuguaglianze, perché questo approccio porta ad una cristallizzazione delle disuguaglianze, mantenendo lo status quo, quello di un Paese caratterizzato, come sappiamo, da fortissimi squilibri della spesa pubblica che presenta una distribuzione territoriale non favorevole alle aree svantaggiate.
Dò qualche numero per toccare con mano lo stato degli attuali squilibri che verrebbero in qualche modo ad essere mantenuti: ad oggi il 70,7 % della spesa del settore pubblico allargato in Italia continua ad essere concentrato nelle Regioni del Centro Nord, solo il 29,3% nel Mezzogiorno. In termini monetari significa che ogni cittadino del Centro Nord si è avvalso mediamente di circa 15.400 euro pro capite rispetto agli 11.900 del cittadino del Mezzogiorno, con un divario medio di circa 3.500 euro pro capite nel 2022. Si è andati dai 18.846 della Lombardia ai 13.721della Campania, dai 22.091 della provincia autonoma di Trento ai 14.374 della Sicilia. Questo a livello generale. Proviamo
a guardare un caso specifico, quello della Sanità, che è un caso emblematico per due motivi: intanto perché il diritto alla salute è un diritto costituzionalmente sancito dagli articoli 3 e 32 della Costituzione, ma anche perché la Sanità è uno dei casi di applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, i cosiddetti LEA.
Ed è emblematico questo caso, in cui i LEA esistono, ma essendo stati non integralmente finanziati e non adeguatamente monitorati, hanno determinato il mantenimento delle disuguaglianze. Quindi nella Sanità quali sono i problemi? Il primo, principale, è quello della inadeguatezza totale della spesa pubblica, che ha aperto uno iato sempre più grande tra aspettative che crescono (l’invecchiamento della popolazione, le esigenze di miglioramento del welfare e tanti altri fattori che non stiamo qui ad indagare) e spesa pubblica, che è rimasta invariata e di molto inferiore a quella di altri paesi europei:
il rapporto spesa sanitaria/PIL in Italia è del 6,6% contro il 9,4% della Germania e 8,9% della Francia. Per allinearci al rapporto spesa sanitaria/PIL del Regno Unito occorrerebbero 20 miliardi annui, per allinearci a quello di Francia e Germania 40 miliardi annui.
In questo contesto, in cui LEA non hanno copertura finanziaria integrale, molte delle Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, il divario è rimasto enorme, soprattutto dopo tutta la fase del Covid; ad esempio – con riferimento alla spesa in conto capitale, che è fondamentale per la sanità, perché significa ospedali e macchinari – a fronte di una spesa media nazionale di 41 euro, in Campania ne abbiamo 18, nel Lazio 24, in Calabria 27.
Questi numeri significano minore diritto all’accesso alle prestazioni sanitarie, minore prevenzione, maggiore mortalità in alcune aree, soprattutto mortalità infantile.
Applicare la spesa storica, come questo Disegno di legge alla fine prevede, significa che saranno le risorse disponibili a determinare i LEP e non i LEP a determinare le risorse disponibili.
La terza questione riguarda i tempi previsti da questo Disegno di legge. Devo dire che non è completamente chiaro, cioè il processo è anche abbastanza oscuro. In linea di massima sembra che il Disegno di legge all’articolo 3 definisca l’arco temporale complessivo: “ai fini dell’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione per m l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni… il Governo è delegato ad adottare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge uno o più decreti legislativi sulla base dei principi e criteri direttivi dell’articolo 1 della legge 197
del 2022” , cioè del Bilancio di previsione 2023 e pluriennale 2023-2025, che in alcuni articoli dà i criteri per la determinazione dei LEP. Quindi l’orizzonte temporale sembra essere quello di 24 mesi.
Il decreto Milleproroghe del dicembre 2023 interviene su alcuni articoli della legge di bilancio, modificando alcune delle previsioni, in particolare quella che sopprime i famosi 6 mesi che erano stati dati alla Cabina di regia per predisporre uno o più decreti, e che come abbiamo visto, è risultata inattuata e questi 6 mesi vengono sostituiti con la dizione “entro il 31 dicembre 2024”: “entro il 31 dicembre 2024 la Cabina di regia predispone uno più schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in cui sono determinati …” e, nell’articolo successivo, “qualora le attività della Cabina
di regia non si concludano nel termine stabilito dal comma 795 – quindi qualora non si concludano entro il 31 dicembre 2024 – il Consiglio dei ministri d’intesa col Ministro dell’Economia Affari Regionali … nominano un Commissario entro i trenta giorni successivi alla scadenza dei 12 mesi per il completamento delle attività perfezionate”. Pertanto il termine ultimo è quello dei 24 mesi previsto dall’art. 3 del DdL, mentre il Milleproroghe definisce le tappe intermedie.
Il Disegno di legge Calderoli verrà comunque approvato e nei due anni prima dell’ipotetica definizione dei LEP l’intensità dell’azione pubblica verrà adattata alla ricchezza dei territori, vanificando appunto la sua funzione principale che dovrebbe essere quella di colmare i divari.
Fonte libro di carteinregola “Autonomia regionale differenziata, perché no”