“Immaginate che la vostra vita venga stravolta nel giro di sei ore”. Comincia così il racconto di Federica Angeli, giornalista del quotidiano “La Repubblica”, oggi a Nettuno per presentare il suo libro e prima ancora per parlare della sua vita. Donna, mamma e cronista. Da cinque anni sotto scorta – dopo essere stata minacciata di morte – per le sue inchieste sulla mafia romana.
Ad organizzare l’incontro, nella sala consiliare di Nettuno di fronte a un pubblico attento, l’Università Civica “Andrea Sacchi”, nell’ambito delle iniziative per la legalità tanto care all’Unicivica.
Moderatori il direttore Chiara Di Fede, il presidente Roberto Fantozzi, il giornalista del Messaggero Giovanni Del Giaccio, il presidente del Coordinamento Antimafia di Anzio e Nettuno Edoardo Levantini, da sempre vicino alla Angeli nelle sue battaglie contro la criminalità organizzata.
“Siamo qui oggi – ha aperto il dibattito Di Fede – perché la testimonianza è l’arma più efficace contro l’omertà, la paura e la rassegnazione, perché la parola mafia fa ancora molto paura”.
Ad Elvio Calderoni, docente dell’Unicivica, il compito di leggere alcuni estratti del libro della giornalista “A mano disarmata, Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta”.
“Vivere sotto scorta significa non poter fare più nulla senza – ha raccontato Federica Angeli parlando del giorno che ha segnato una svolta nella sua vita, il 17 luglio 2013, quando il comando provinciale comunica alla giornalista che da allora in poi avrebbe vissuto sotto scorta – Per chi come me ama fare inchieste e scrivere di nera e giudiziaria l’impatto è stato traumatico. Ricordo ancora quando mi infiltrai in un gruppo dell’est per denunciare un traffico di armi. Un giornalista non si serve solo di fonti istituzionali, a volte ha bisogno di persone poco pulite. Da quando vivo sotto scorta le mie inchieste sul campo si sono ridotte all’osso”.

Sulla difficoltà di fare giornalismo a livello locale è intervenuto Del Giaccio. “Confrontarsi con quello che accade a livello locale non è facile. Ad Anzio abbiamo beni confiscati ai casalesi e rapporti con i Gallace. Ci sono sentenze nero su bianco. Chi mina la libertà dei giornalisti mina la libertà di tutti. A Nettuno è successo anche che facessero magliette o canzoncine contro i giornalisti locali scomodi. Ma i giornalisti servono a questo, a verificare le fonti, a denunciare”.
“Prima di tutto il rispetto per chi legge – ha aggiunto Angeli – l’informazione deve essere pulita, pura. Non si può avere la presunzione di condizionare chi legge. Non mi interessa indorare la pillola; se uno ruba non puoi scrivere che è diversamente onesto. E’ questo che porta alla deriva questo mestiere. Noi giornalisti la sera dobbiamo fare i conti con la nostra coscienza, non con quanti lettori abbiamo fatto contenti. La notizia deve essere quanto più vicina alla verità”.
“Nel tuo libro – ha detto Di Fede rivolgendosi alla giornalista – prendi per mano il lettore e lo accompagni in un viaggio all’interno della tua casa, della tua esperienza familiare, delle ripercussioni del tuo lavoro sulla vita privata”.
“Lo scopo era esattamente quello – ha confermato Angeli – prendere il lettore per mano e fare una cronaca delle mie emozioni. Il senso del libro è quello di far comprendere alle persone quanto io sia una persona normale. Il fatto di presenziare a qualche trasmissione televisiva non ci rende diversi. Sono una moglie e una mamma, se sono riuscita a fare determinate cose contro la mafia, può farlo chiunque perché non bisogna mai abbassare la testa. Ho vissuto dei momenti difficili, nel giro di sei ore sono stata messa sotto scorta. Nel libro racconto di quando io e mio marito, che in tutta questa vicenda si è rivelato un uomo meraviglioso, siamo entrati in caserma perché dovevano darmi la scorta. I carabinieri mi hanno detto cosa potevo e cosa non avrei potuto fare da quel momento. Tra le altre non sarei più potuta uscire sul balcone di casa mia perché avevo assistito ad un tentato duplice omicidio ed avevo deciso di testimoniare. Le persone pensano che sia una privilegiata, ma io non posso più viaggiare assieme a mio marito su una macchina che non sia blindata. La prima volta che sono salita su quell’auto ricordo che volevo tirare giù il finestrino per prendere aria, un piccolo gesto che non ho più potuto fare. Non potevo respirare. Ai miei figli ho raccontato che mi avevano assegnato un autista come premio per un articolo. Come potevo spiegargli che correvano il rischio di restare orfani… Con la mia famiglia ne abbiamo passate tante, la gente ci gridava infami sotto la porta di casa, ma io inventavo dei giochi con i miei ragazzi, che erano terrorizzati, per alleggerire la situazione. Gli Spada si appostavano per giorni sotto casa, e io raccontavo ai miei figli che si trattava di due uomini follemente innamorati della loro mamma. Quando ho denunciato, i primi tempi, non ero gradita nei negozi. La mafia teneva tutti sotto scacco, riusciva a divorarsi tutto, su quel maledetto litorale romano.

Il più grande favore che si può fare alla mafia è non riconoscerla. In questo modo queste organizzazioni criminali si rafforzano. La sera in cui ho assistito al tentato omicidio sotto casa mia ho sentito degli spari e riconosciuto due del clan Spada che cercavano di fuggire dopo aver preso a coltellate un pregiudicato. Poi uno di loro ha detto a tutti noi del quartiere, che nel frattempo ci eravamo affacciati, di tornare dentro, che lo spettacolo era finito.
Sono rientrati tutti, per paura, per rassegnazione. Io invece di tornare a letto sono andata a denunciare. E’ un errore pensare che contro di loro non si può vincere. Denunciando ho trasmesso ai miei figli il messaggio che non si deve fuggire di fronte a queste persone, perché vi assicuro che non vincono sempre loro. Io ho continuato la mia battaglia, e pian piano le persone si sono avvicinate a me, hanno trovato il coraggio di denunciare. Prima una persona, poi due, poi sempre di più e posso dire che criminalmente, in questa fase, il clan Spada è morto”.

Infine un accenno ad Anzio, alla mancata commissione d’accesso annunciata a gennaio in uno degli incontri con Federica Angeli all’hotel Garda. “Anzio è un comune che andava sciolto. Ho ricevuto una grossa delusione con la prefetta di Roma, che aveva assicurato l’arrivo imminente della commissione, preludio allo scioglimento del consiglio comunale. Poi non si è fatto più nulla, non ne conosco le ragioni. Pressioni in concomitanza delle elezioni? Questo non lo so, ma io mi sono esposta invano”.[sg_popup id=”106217″ event=”inherit”][/sg_popup]