Di Marianna Sturba
La quarantena non è un livellatore sociale, anzi è un eccellente esaltatore di disparità.
Ci racconta di un’Italia dove le pari opportunità sono uno slogan buono per ogni occasione, ci mette davanti alle debolezze della costruzione della nostra idea di Società, ci fa mettere in crisi anche idee e proposte politiche.
Un conto è fare la quarantena in case di 50 Mt in 4 o 5 persone, un conto è farla in villa con giardino; un conto è farla avendo lo stipendio comunque assicurato un altro è viverla senza certezza di reddito. Un conto è poter riempire il frigo, altro fare i conti e scegliere a cosa rinunciare. Un conto è potersi permettere gli abbonamenti vari Sky, Netflix ecc, un conto è fermarsi ai canali RAI, mediaset, la7 e qualche TV locale. Un conto è farla con la fibra un conto con i dati mobili a tratti disponibili. Un conto è seguire le video lezioni dal tuo PC privato altro è condividere un device con altri fratelli e con programmi non aggiornati o addirittura fare tutto da uno smartphone. Un conto è farla in una famiglia che si ama altro in una famiglia con tensioni interne. Un conto è farla in salute altro è viverla sapendo di essere “l’anello debole della catena”. Un conto è farla dove ci sono Ospedali attrezzati e autoambulanze disponibili, un conto in un punto del paese mal raggiunto da questi servizi essenziali.
La nostra quarantena non si declina ovunque alla stessa maniera, e non avrà su tutti gli stessi effetti.
Allora il virus non ci ha reso tutti uguali ci ha invece ricordato quante disparità esistono ancora, quante categorie di cittadini e come il walfare sia del tutto insufficiente. Ci ha mostrato le fragilità di un sistema di assistenza precario in cui non si crede accecati dalla falsa illusione della sussistenza e autonomia. Ha risvegliato in noi il ricordo di esser stati comunità, quella comunità che chiedeva un “bicchiere di sale” al vicino, o il lievito, quella comunità che teneva in famiglia gli anziani e che cresceva i bambini in famiglie piene di parenti e amici; quella comunità che gioiva e piangeva insieme perché percepiva le connessioni inscindibili tra gli esseri umani.
Ora, oltre al welfare carente sul quale i governanti dovranno interrogarsi, e assumersi responsabilità, c’è la solidarietà fra pari su cui dobbiamo tornare a riflettere, sul senso di sussidiarietà di reciprocità smarriti da tempo. Abbiamo smarrito il sentirci parte di un “corpo” che per sopravvivere deve imparare a prendersi cura di tutti, abbiamo smarrito l’attenzione all’altro, l’aiuto che si manifesta con una busta di spesa, con un supporto tecnico o morale, con la proposta di una soluzione, con una battaglia sociale e politica, se occorre, che non risponda ai miei personali e personalistici bisogni ma che abbia invece un respiro più grande, più collettivo e comunitario.
Esiste il fattore Umano. Ecco oggi occorre questo, oggi è l’unica energia rinnovabile a nostra disposizione, è la forza che trasforma un agglomerato informe di persone in una comunità.