“Forse l’esperienza è nel capire il valore di certe parole, che la vita ci rivela lentamente e a volte non invano.”
Ho atteso anni prima di approcciare a Flaiano, temevo la sua penna, avevo paura di uscirne distrutta invece ho ritrovato un romanzo che resiste al tempo, un romanzo che ancora odora di presente.
Siamo in Africa, durante la guerra di Etiopia e il protagonista, un tenente bianco, è l’antieroe per eccellenza, quel tipo di protagonista che vi farà parlare a voce alta spesso con improperi e insulti.
Flaiano in Tempo di uccidere, edito da Adelphi, ci fa faticare con quest’uomo, immerso nelle sue paure, incapace di assumersi mezza responsabilità e l’unica soluzione è scappare o uccidere.
L’Africa saprà cambiargli l’esistenza, come per chiunque giunge in quei luoghi. Sono gli incontri che daranno al tenente un punto di vista diverso, il primo con Mariam, una giovane donna con cui scambierà un’intimità fugace e che però ucciderà per errore, e dalla quale crede di essersi contagiato di lebbra.
Il fantasma di Mariam lo seguirà con affanno, con acuta introspezione sulla viltà e sui silenzi colmi di terrore.
Il personaggio chiave è Johannes un vecchio saggio, di poche parole che sin da subito aveva soppesato il fardello del tenente, un rapporto fatto di contrasti e di fugaci tenerezze.
Una bella riflessione sull’unico motore della sua vita “Lei”, la donna che ama e che lo aspetta in Italia, perché come sempre l’amore ci salva.
Un libro che racconta di culture diverse, di silenzi, di attese, di morte, di caratura umana. Un libro che ti mette in contatto con aridi paesaggi in un tempo lontano.
Un libro scritto nel 1947 che non annoia, ti lascia curioso pagina dopo pagina, un libro che a scriverne oggi sarebbe una piacevole epifania.
Un libro che racconta, che invoglia e che appena chiuso hai bisogno di qualche istante per meditare.