Il fallimento della Capo d’Anzio, i risultati della politica predatoria

In una città come Anzio e il suo porto un dei più importanti del Lazio, il fallimento della società che gestisce il porto (la Capo d’Anzio, controllata dal comune), era nell’aria  già da tempo. Con il comune sciolto per mafia. Un carrozzone voluto dalla politica che per venti anni ha fatto il bello e il cattivo tempo nella città neroniana. A partire dall’idea del mega progetto del porto che i sindaci del centro-destra hanno utilizzato per le campagne elettorali. Con la cacciata delle cooperative degli ormeggiatori, con i soci privati che intanto vendevano posti barca inesistenti, le nomine tutte politiche, con gli “espertoni’,  che avrebbero dovuto salvare e rilanciare la Capo d’Anzio che “assicurava la sostenibilità dell’iniziativa economica e finanziaria“. Fino ad accumulare un insostenibile debito milionario.

Un fallimento preannunciato, le cui conseguenze le pagherà tutta la città, un danno enorme che ricade anche sull’immagine di una città che sul turismo e sul porto basa una buona parte della sua economia.

Progetti faraonici fallimentari, affari facili, mafia e appalti, una classe politica senza scrupoli. Anzio, una delle più belle cittadine costiere d’Italia non meritava di essere trattata così.