“Ero stata sedotta dalle parole, come Desdemona quando ascoltava Otello, con orecchio teso e goloso”
In “Quello che possiamo sapere” di Ian McEwan per Einaudi, troviamo Thomas Metcalfe, studioso del XXI secolo visto dal 2119, sopravvissuto a un mondo in parte sommerso da un “Grande Disastro”.
In Snowdonia, Metcalfe insegue la traccia di una poesia mai pubblicata ”Corona per Vivien” declamata nel 2014 dal grande poeta Francis Blundy durante una cena, di cui si sono perse le tracce.
Da qui parte l’indagine su chi eravamo, chi siamo, e cosa abbiamo fatto al pianeta.
Pagine intensissime, come solo McEwan sa scrivere, che raccontano un presente, il nostro, catastrofico, crisi climatica, tecnologia, distanziamento sociale, qualcosa di non troppo lontano dalla fantascienza, ma una vera lente d’ingrandimento su quanto sta accadendo nel mondo e come stiamo contribuendo a danneggiarlo.
Ambientalista? Distopico? Sì. Anche felicemente noioso, perché non siamo più abituati a leggere libri lenti che raccontano intelligentemente la bellezza di quella lentezza da contrapporre a una insensata velocità cui siamo abituati, anche nella lettura.
Poi il libro si apre all’indagine, alla caccia al tesoro, alla scoperta, forse anche interiore, su grandi temi di oggi, come la violenza, il femminismo, e la letteratura.
McEwan è noto essere un estimatore di Stoner e chi lo ha amato tanto quanto me, saprà che un punto focale del romanzo è proprio la letteratura, dunque le parole, da cui ripartire, su cui soffermarsi per ritornare ai sentimenti.
