di Menuccia Nardi
Come credo molti sappiano sono in corso le Olimpiadi invernali in Corea del Sud e come molti anch’io sono rimasta colpita da quella stretta di mano tra le delegazioni delle due Coree. Due Paesi divisi da anni che si incontrano in un gesto: un gesto semplice, umano e senza medaglie, ma destinato a rimanere sui libri di storia. Perché grazie allo sport spesso si fa la storia, e non solo quella sportiva.
E proprio con questo spirito mi sono presa la briga di andare a ripescare a ritroso negli anni gli episodi più salienti dei giochi olimpici e ho riletto di alcuni eventi che sicuramente hanno segnato lo sport: tra questi alcuni però si sono spinti oltre, divenendo un simbolo, perché spesso una manifestazione sportiva non è solo una manifestazione sportiva, e una gara non è solo una gara, e ci sono successi che vanno al di là del successo personale. Ne ho scelto uno.
Torniamo indietro di molti anni. Berlino 1936, agosto 1936, per essere esatti, Olimpiadi estive dunque. È la Germania nazista di Hitler a ospitare i giochi olimpici. Ma non è questo che fa la storia. No, la storia ricorda un giovane 23enne afroamericano che partecipa a quelle Olimpiadi, un ragazzo di colore originario dell’Alabama, al secolo James Cleveland Owens. A scuola però quelle iniziali J.C. del nome vengono fraintese e lo chiamano Jesse, da allora diventa per tutti Jesse Owens. Jesse Owens è tra gli atleti statunitensi che gareggiano ai giochi di Berlino, e non si limita a partecipare, no, quel giovane conquista 4 ori: nei 100 e 200 metri, nella staffetta 4×100 e nel salto in lungo (bisognerà attendere Carl Lewis nel 1984 per assistere alla stessa impresa, ben 48 anni dopo).
Owens diventa il beniamino del pubblico, il simbolo sportivo dei giochi olimpici di quell’anno, alla faccia di Hitler e del suo regime. Proprio nel salto in lungo ha però qualche difficoltà: nelle qualifiche i primi due tentativi vengono annullati, ma prima dell’ultimo tentativo gli si avvicina un altro atleta, e gli consiglia dove staccare prima del salto. Owens lo fa, si qualifica e vince. L’atleta da cui accetta il consiglio è il tedesco Luz Long, capelli biondi e occhi azzurri, selezionato dal regime nazista per fare sfoggio della presunta superiorità tedesca: quel ragazzo, 23enne anche lui, a quella gara di salto in lungo si accontenta dell’argento in nome del vero spirito olimpico e di un’amicizia che nasce sui campi sportivi e va oltre… oltre il pregiudizio, oltre qualunque folle ideologia.