Ultima stazione per l’acqua pubblica?

[sg_popup id=”106217″ event=”inherit”][/sg_popup]di  Marco Bersani

Un’Italia sempre più disgregata, impaurita, incattivita e impoverita, Con queste parole, il 52° Rapporto Censis delinea il ritratto di un Paese in declino, in cerca di sicurezze che non trova, sempre più diviso tra un Sud che si spopola e un Centro-Nord che fa sempre più fatica a mantenere le promesse in materia di lavoro, stabilità, crescita, soprattutto futuro. “Il processo strutturale chiave dell’attuale situazione è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, sintetizza il Censis.

Eppure, non più tardi di otto anni fa, questo stesso Paese è riuscito a costruire intorno al tema dei beni comuni, la più grande esperienza di partecipazione popolare dal basso degli ultimi decenni, portando la maggioranza assoluta degli italiani a votare un referendum per l’acqua pubblica e la riappropriazione dei beni comuni, la loro gestione partecipativa e priva di profitti. Era un Paese che aveva trovato un nuovo legame sociale e un’appartenenza solidale e che, nel binomio acqua e democrazia, provava a costruire un futuro diverso per tutti.

Quanto della fotografia della società attuale è dovuto alla mancata realizzazione, da parte dei diversi governi, di quella decisione sovrana? Quanto di quel bisogno di appartenenza sociale fondato sui beni comuni è stato di conseguenza stravolto in nuove appartenenze identitarie fondate sull’ostilità dell’altro da sé? E’ possibile provare a invertire la rotta e riprendere quel cammino bruscamente interrotto?

Il 25 ottobre scorso è iniziata presso la Commissione Ambiente della Camera la discussione della legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”. Si tratta del testo aggiornato della legge di iniziativa popolare presentato nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua con oltre 400.000 firme e poi depositato nella scorsa legislatura con il sostegno dell’intergruppo parlamentare per l’acqua bene comune. Successivamente aggiornato di nuovo e depositato in questa legislatura a firma di diversi parlamentari del M5S.

L’attuale proposta di legge risponde all’urgenza di dotare il nostro paese di un quadro legislativo unitario rispetto al governo delle risorse idriche come bene comune, introducendo modelli di gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico, procedendo da subito alla ripubblicizzazione dello stesso. Tale testo, dunque, scaturisce dalla necessità di un cambiamento normativo nazionale e risulta essere la reale e concreta attuazione dell’esito referendario del 2011, che segni una svolta radicale rispetto alle politiche, che hanno fatto dell’acqua una merce e del mercato il punto di riferimento per la sua gestione.

È un’occasione unica per rimettere in connessione la sovranità – termine oggi più che abusato- con l’unico titolare della stessa, il popolo, che aveva detto a chiare lettere “Fuori l’acqua dal mercato, fuori il mercato dall’acqua”. Lo hanno capito i detrattori dell’acqua pubblica, in prima fila le grandi multiutility collocate in Borsa – Hera, Iren, A2A e Acea – che, avendo distribuito ai propri azionisti qualcosa come 3 miliardi di dividendi negli ultimi sei anni, stanno facendo la voce grossa in tutte le sedi istituzionali per impedire ancora una volta la realizzazione dell’esito referendario.

La partita è di nuovo aperta e i prossimi mesi ne decideranno l’esito. Forse è giunto il momento, per tutte le persone che dentro la battaglia dell’acqua hanno costruito percorsi di speranza, di rimettersi in gioco, rivendicando con rabbia e determinazione la riappropriazione sociale di ciò che ci appartiene. Perché, nonostante la cortina fumogena che avvolge il Paese in questi anni, ancora una volta si scrive acqua, si legge democrazia.

 

fonte https://comune-info.net