Con una operazione di marketing, di dubbio gusto, la Meloni ha deciso di utilizzare la festa dei lavoratori per deliberare la sua riforma sul lavoro. Fin dal primo momento sono volati, come sempre in Italia, numeri in libertà, nemmeno fossero farfalle e quindi ritengo utile se non addirittura necessario fare chiarezza, o come dicono quelli bravi, fare un vero e proprio fact checking. Evitando di parlare della nuova possibilità di prolungare quasi a vita i contratti precari e del ritorno dei vaucher, operazioni entrambe finalizzate a rendere sempre più deboli le tutele dei lavoratori, credo sia importante analizzare il taglio del cuneo fiscale, tanto sbandierato dal governo delle destre. Secondo i calcoli fatti dai giornali specializzati, questo intervento sul cuneo fiscale vale, per i redditi bassi, fino a 15mila euro, circa 60 euro al mese, per crescere fino quasi a 100 euro per I redditi fino a 35mila euro. Ma questi sono cifre che riguardano il semplice effetto, senza tener conto dell’inflazione, che oggi si attesta poco al di sotto del 10%, con il risultato di far diminuire quasi della stessa percentuale il salario reale dei dipendenti. Quindi uno stipendio ad esempio di 1200 euro mensili, alla fine della fiera, guadagna 60 euro per il taglio del cuneo fiscale ma ne perde almeno 100 a causa del processo inflattivo. Quindi la tanto sbandierata riforma della Meloni, oltre che essere per pochi mesi (da luglio a dicembre) non otterrà nemmeno il risultato di lasciare inalterato il valore degli stipendi dei dipendenti. Senza dimenticare poi che nessun intervento è previsto per i pensionati e che il reddito di cittadinanza viene praticamente dimezzato. In pratica le destre hanno deliberato una riforma, che, calcolatrice alla mano, rende il Paese più povero. In buona sostanza infatti i veri effetti di questo evento pubblicitario del primo maggio saranno quelli di rendere più precario il mondo del lavoro, di colpire le fasce più deboli che in un periodo di crisi potevano sopravvivere con il reddito di cittadinanza, di lasciare al proprio destino i pensionati e di prendere in giro i lavoratori dipendenti. Insomma, a conti fatti, questo intervento non è nemmeno paragonabile a quello di Draghi ed è persino inferiore a quello controverso degli 80 euro di Renzi, perché in entrambi i casi i risultati erano superiori ai costi delle inflazioni dei rispettivi periodi. Quindi se si fossero andati a fare una bella braciata invece di fare la pantomima del consiglio dei ministri del primo maggio, quelli del governo Meloni avrebbero fatto meno danni al Paese.
Roberto Alicandri