I racconti di Ciro Spina: Le verande sul mare

Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Le verande sul mare

L'autore Ciro Spina
L’autore Ciro Spina

L’ultimo conflitto mondiale e lo sbarco degli alleati devastarono il centro storico di Anzio. Oltre alle abitazioni andarono distrutte moltissime attività, tra cui le verande dei ristoranti sul porto, ricostruite in seguito a gran velocità per ospitare i turisti che venivano in città per gustare la tipica zuppa di pesce e la frittura di paranza. Infatti i villeggianti erano in continuo aumento e gli spazi a disposizione non riuscivano a sopperire questa necessità. Per le famiglie che gestivano i locali si trattava di un’occasione di guadagno che non poteva andare persa.

Le prime verande di legno, con aperture laterali e coperte da un semplice tetto, furono quelle del ristorante Garda dei fratelli Garzia, del Caprera di Enrico, del bar Miramare e del ristorante Il Gambero di Morville. Sul marciapiede, tra Il Gambero e il Caprera, sorsero attività per la vendita di frutti di mare, consumati crudi e all’istante con solo una spruzzata di limone. Uno spettacolo di odori e colori su banchi che offrivano cozze, vongole, telline, ostriche, fasolari[1], tartufi e ricci di mare.

Tra le donne che gestivano i chioschi, chiamate cozzicare perché maestre nell’aprire i frutti di mare, vi erano le signore Oliviero, Pollastrini e Valerio, nonché la tellinara Capobianco, che vendeva solo le telline pescate da suo marito. Dopo l’epidemia di colera scoppiata a Napoli ed in altre città del Mediterraneo nel 1973 e dovuta ad una partita di mitili provenienti dalla Tunisia, i meravigliosi banchi dei frutti di mare consumati crudi furono dismessi.anzio-antica2

All’epoca la banchina della piccola pesca non era come si presenta oggi: le fondamenta delle verande del Garda e parte del Caprera poggiavano su colonne poste sul molo, mentre quelle del bar Miramare e del ristorante Il Gambero entravano direttamente in acqua. Ciò permetteva a tanti ragazzini che durante la stagione estiva bighellonavano nel porto, di guadagnare qualche spicciolo dando spettacolo ai villeggianti. Mentre i turisti pranzavano nelle nuove verande dei ristoranti, questi giovanotti si tuffavano in acqua dal lato del Gambero o dalle barchette ormeggiate di fronte al Miramare e al Caprera, chiedendo ai commensali di gettare in acqua le 5 o le 10 lire, per recuperarle poi con la bocca. I turisti lanciavano divertiti le monete in mare e una moltitudine di bambini si tuffava, tra schiamazzi e schizzi, per recuperarle. Una volta presa con le mani, la moneta era trasferita fra i denti poco prima di risalire in superficie e mostrarla ai clienti.

Quest’usanza popolare durò fino a quando non furono costruite le verande in cemento, riparate ai lati da vetrate, che davano modo ai locali di lavorare anche in inverno nelle giornate piovose e ventose. In seguito fu vietata la balneazione nel porto e venne chiuso lo spazio dal quale si tuffavano i ragazzini, occupato oggi dalla gioielleria Speranza.

 

[1] Gustosi molluschi di mare.

 

Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042