La politica anziate, ma deve essere una caratteristica di quella italiana, si affanna a cercare il successore di Luigi D’Arpino alla presidenza della Capo d’Anzio e di Franco Pusceddu nel consiglio di amministrazione, ignorando o fingendo di ignorare quello che prevede la riforma Madia ovvero qualcosa più di un rischio di cedere le quote pubbliche.
Il passare del tempo conferma che l’intento – sotto sotto – era proprio quello e che deve esserci stata una “cordata” pro Marconi e una per qualche altro gruppo se nato all’improvviso e con specifico sponsor politico si vedrà, certo è che cercare nomi serve a tutto fuorché a salvare la società, quindi l’idea del porto come la conosciamo da quando Renzo Mastracci la consegnò alla Regione.
Se sarà l’ingegnere Alberto Noli a presiedere la Capo d’Anzio o l’avvocato Arcangelo Barone – entrambi stimatissimi professionisti e profondi conoscitori di materie portuali e demaniali – interessa poco. Così come se al posto di Pusceddu andrà il segretario generale del Comune, Pompeo Savarino.
La domanda che la Politica – qui uso volutamente la maiuscola – quella cioè che dovrebbe pensare al bene della cosa pubblica, dovrebbe porsi è: rispetto al decreto Madia, la Capo d’Anzio ha una speranza di restare, insieme alla sua concessione ovvero al porto “di” Anzio, con un controllo pubblico? Se rischia, come rischia, cosa è possibile fare per evitare di cederla al miglior offerente, con Marconi che sarebbe comunque in prima fila? Vogliamo, una volta per tutte, affrontare la vicenda in Consiglio comunale?
Ancora ieri, sul Sole 24 Ore, è stato ampiamente anticipato il contenuto del decreto che mette il Comune praticamente con le spalle al muro.
Leggiamo, ad esempio, che: “Nei nuovi parametri, prima di tutto, non trovano spazio appunto le società che producono beni e servizi commerciali in settori dove esiste la concorrenza“. Ma anche che: “Secondo il decreto l’alienazione dovrà colpire tutte le partecipate che non hanno raggiunto il milione di euro. In base ai calcoli del commissario, sono 2.545 le società pubbliche che non sono in grado di certificare il superamento del milione di euro in bilancio, per cui potrebbe essere proprio questo il parametro più potente nell’armare le forbici della riforma“. Infine la vicenda dei dipendenti: “Ma c’è un terzo gruppo, ancora più numeroso, di partecipate che la riforma prova a indirizzare verso l’estinzione, e cioè le aziende con più amministratori che dipendenti. Nelle tabelle di Cottarelli sono 3.035 le aziende che hanno organici fino a 5 persone, e altre fra le 2.093 che non hanno dichiarato il numero di dipendenti potrebbero ingrossare il gruppo“.
La Capo d’Anzio – come diremmo dalle nostre parti – c’è dentro con tutte le scarpe. Anzi, pur avendo dipendenti (due) il piano di razionalizzazione affidato a un professionista esterno nemmeno li ha indicati….
Esiste una alternativa? C’è un modo per salvare la Capo d’Anzio e quindi il controllo pubblico indispensabile per non “appaltare” il porto e di conseguenza la città?
Si potrebbe andare da Renzi, tutti insieme, dal sindaco al suo ormai ritrovato alleato Candido De Angelis, al Pd, agli operatori che hanno creduto nel progetto, a spiegare che cosa è successo dal 2000 a oggi ma che, finalmente, siamo in grado di essere operativi e partire con la fase 1 dei lavori prevista dall’inversione del crono-programma. Magari si potrebbe fare insieme a Zingaretti che ha dimostrato – sotto la sua gestione – che una Regione oculata i problemi li supera, non li crea come era stato con Marrazzo-Montino, i quali preferivano rispondere a ben noti maggiorenti anziati.
Si potrebbe restituire tutto alla Regione, come suggerisce Sel, accollare i 2 milioni di debiti della Capo d’Anzio ai cittadini e arrivederci e grazie. Abbiamo scherzato, il porto resta com’è, le concessioni fra sei anni vanno a gara europea, se c’è l’insabbiamento… aspettiamo. Certo, l’accordo di programma e la concessione sono stati disattesi, ma con i tempi che corrono la Regione prende in carico una situazione del genere?
Si potrebbe “navigare” verso l’autorità portuale, alla quale chiedere di rilevare la concessione.
Ma prima di tutto ci si deve rendere conto che siamo agli sgoccioli e che nessuno crede più alle favole, né quella di “inizio lavori 2005” (che fu uno slogan di De Angelis), né quella di un nuovo bando che tanto piace a Bruschini. Così come è inutile rivangare un passato fatto di screzi, ostacoli, “politica” invadente e via discorrendo. Si deve guardare al presente e al possibile futuro. Per questo un nome – magari frutto di un accordo pre elettorale – non basta.
[Fonte http:// giovannidelgiaccio.wordpress.com/]