Anzio, terra di mezzo tra Roma e il mare. Intervista alla Professoressa Lozzi Bonaventura

Anzio, terra di mezzo tra Roma e il mare. La storia della villa di Nerone. Intervista alla Professoressa Lozzi Bonaventura

di Marina Mancini

Mi accomodo su una sedia di legno, in un angolo della cucina, mentre osservo i movimenti esperti di chi avrà preparato migliaia di caffè. Lo sguardo si muove ancora tra i centinaia di libri appesi alle pareti e la poltrona rossa appisolata in un angolo. Sul tavolino rotondo altri libri di storia, di chi la storia, se proprio questa non risuona come si deve, se la va a cercare e la pretende  tra i segni e le linee delle testimonianze architettoniche e le parole scritte.  E le parole tra di noi a poco a poco cominciano a scivolare, come un torrente, una insegue l’altra, è il segnale, il rapporto umano, l’affinità è stabilita, io e lei ci comprendiamo.  Chiedo un incontro a questa meravigliosa professoressa, Maria Antonietta Lozzi Bonaventura e lei mi accoglie a casa sua con affetto. La meta di questo viaggio meravigliosamente umano è scoprire qualcosa di più della mia città, Anzio, della sua  strana, frammentata storia recuperata dopo secoli di abbandono.  Mi ritrovo però in un vortice fantastico tra la vita e le sue venature, perché la storia lei non te la racconta te la fa vivere.

Mi dice che la realtà umana, anche quella recente, appena nata, vive parallela al corso dei suoi eventi,  in un intreccio suggestivo e avvincente, dove il passato tende le sue braccia e sottintende il presente. “ La storia non interessa, se non interessa, perché è la vita che non interessa….Quello che siamo oggi è legato indissolubilmente e intimamente a quello che altri esseri umani erano e hanno fatto ieri.” Me lo dice con forza, con il vigore che nasce da una profonda certezza, la certezza della bellezza degli esseri umani e della fondamentale importanza delle tracce che nei secoli questi hanno lasciato. Sono messaggi, lettere d’amore, esseri umani che parlano ad altri esseri umani, oltre il suono e la dimensione del tempo.

Parliamo  di Anzio  della sua “strana identità”, perchè nasce, mi racconta, “da una strana storia”.

, fu abitata fino agli inizi del Medioevo, poi la sua storia si interrompe e la città scompare e viene lasciata alla selva, abbandonata. Per un gioco strano del destino, per un incontro d’amore tra un uomo e la storia di questi luoghi,  ricominciò a vivere nel 1600 quando la boscaglia lasciò il posto a  splendide ville Cardinalizie. “Rinasce” mi dice, quasi commossa, “per una passione culturale”, la stessa che, chiaramente, vive in lei, lo stesso fuoco, ardore, passione per il bello pensato, costruito,  messo in scena dagli esseri umani, dalla loro volontà, eccellenza, capacità.   Così nel suono della sua voce il Cardinal Pignatelli che nel 1691 parte da Napoli per il conclave, diventa l’uomo della fortuna che osserva il mare interrotto in una lunga tempesta e che poi trova protezione nell’antico porto Neroniano, perla della nostra città.  In quel luogo si stendeva  il porto tra le onde e la falesia, dice, malconcio, ma intatto, predisposto e generoso, ancora ad offrire riparo e salvezza. Il cuore del Cardinale si infiamma, lo sento dalla  voce di lei che racconta e quest’uomo promette, che se la sorte lo vuole Papa, da Papa restituirà nuova vita e splendore all’antico ancoraggio. Un uomo che raccoglie la passione di un altro uomo spiegando il suo braccio e il suo pensiero oltre i secoli verso un  giovane imperatore affascinato dal mare a cui  affida il progetto di una dimora sempre più grande e forse la sua solitudine. Giovane adolescente,  trattato malissimo dalla storia, reso imperatore a diciassette anni da una madre crudele e assassina. Di lui, di Nerone, parliamo tanto, si soffermano le nostre riflessioni sulle tante ombre e luci che lo accompagnano. E tanto lei mi svela di questo ragazzo, del suo amore per il mare e per le costruzioni nell’acqua e del suo odio furioso per i giochi mortali dei gladiatori.  Il mio concittadino più famoso, di cui però troppo poco, per non dire per niente, le nostre istituzioni cittadine si occupano e tanto meno  rispettano, utilizzandolo solo, banalmente ed inutilmente, nei brutti cartelloni pubblicitari. Risuona il monito iniziale:” non ci si occupa della storia, perché non interessa la vita”. Se per vita si intende l’essere umano e l’essere umano nelle sue trasformazioni  attraverso il tempo.  Insieme a lui si fanno strada altri esseri umani,  che raccontano della mia città attraverso i loro occhi, come   Augusto di origine velletrana (della città di Velletri tra i castelli  Romani), che, come i suoi odierni concittadini scendeva ad Anzio per la villeggiatura estiva nella villa di famiglia o come  Cicerone che dalla sua casa di  Lanuvio (l’antica Civita Lavinia sui Colli Albani), descriveva il suo percorso verso lo stesso mare rumoroso, affettuoso dei miei giorni e delle mie notti . Capisco.  “Si cammina sulla storia”, tra i suoi percorsi e vicoli, la storia è fatta, anche, dalle strade che gli uomini  attraversano. Sento l’entusiasmo, la sua ammirazione nella descrizione della villa Imperiale di Anzio, la sola al mondo, con ogni probabilità, a possedere una struttura particolare nella parte termale, che si estende nelle tre fasi, calidarium, tepidarium e frigidarium, in un movimento verticale, anziché orizzontale, che dall’alto si spinge verso il basso a cercare refrigerio e ristoro nel passaggio dal caldo al freddo. Ma è nel mare che la villa  racchiude  un tesoro  prezioso, tra il porto e la sua estensione, affidando ad un gioco di tecniche costruttive subacquee inalterate la sua forza. Sono le sue fondamenta ancorate nel mare, suggello di passione e capacità costruttive. Lei ama Anzio, la sua terra, la sua storia, che per questo gioco di memorie e di ricerca di se arriva ad approfondire, a far sua. Una ricerca che tenta di far diventare patrimonio comune per i suoi studenti e per i suoi concittadini. Affida ad una serie di incontri, “tramonti sul mare dalla villa imperiale” nel 1997, all’ombra della  maestosa dimora, il suo sapere, generosamente offerto. Equilibrio strano e contorto della vita tra chi tanto da e chi nulla offre, anche se dovrebbe. Le latitanti istituzioni paesane  negarono soldi, organizzazione e un megafono. Niente di più chiedeva lei, un megafono per far espandere la sua voce, per permettere alle sue parole di arrivare alla curiosità e al desiderio di conoscere di altra gente. “Ma a che ti serve”; le risposero, “  arriveranno quattro gatti, non ti serve”. Ma i gatti di Anzio sparsero la voce, evidentemente, e si raccolsero intorno a Lei e alla sua Villa, numerosi e attenti, per  conoscere e cogliere dalle sue labbra pezzi di arte, cultura, storia, umanità. L’ho ascoltata anche io, in una occasione più recente, sul finire di questa estate scintillante, con i piedi nella sabbia. Appoggiata la mano ad un muro antico, costruito molto prima di me per volere di un ragazzo imperatore che, come me, forse, guardava verso lo stesso mare le onde infrangersi sul bagno asciuga.

Che cosa ne è di tutta questa bellezza?

Il sito archeologico più bello del mondo, se il mondo in questo momento è la mia città, ridotto a terra di bivacco e saccheggio. Senza tutele e rispetto.  Sul lato del mare, tra i ruderi antichi spuntano ombrelloni, conficcati nelle pietre preziose  testimonianza derubata e oltraggiata dei passaggi di una genialità che si è fatta opera. Bottiglie rotte, legni bruciati tra le stanze e le grotte della villa. Nessuno vede, nessuno mette riparo.  Arriva solo, come una beffa, la richiesta di chiudere tutto, l’accesso alla spiaggia e al sito. Dal tutto al niente.  Impedendo anche ai cittadini, che invece amano, rispettano e di volta in volta si organizzano per pulire l’antica casa e la sua spiaggia, la possibilità di passeggiare e sostare tra il tesoro più prezioso che appartiene alla città. Dal tutto al niente.

E dopo anni di abbandono ti presentano alla vista e ai conti pubblici un molo appena sfornato, accanto a quello pregiato e nobile lasciato in dono dalla storia. Nessuno risponde seriamente ai cittadini che chiedono un senso a questa opera. Era necessario tutto questo?  Non si poteva fare altro per proteggere il vecchio molo? Non si potevano predisporre altre opere o tecniche per custodire l’esistente? Sono state prese tutte le precauzioni per ridurre l’impatto sull’ ambiente e sull’ area archeologica? Si è tenuto conto di quello che, di antico e prezioso nasconde il mare nel suo fondale?  Dall’oggi al domani ti svegli e  sulla  tua storia ti costruiscono una lingua di cemento, disponendo ruspe tra le rovine e le mura antiche. Molti cittadini hanno cominciano a chiedere, nessuno però risponde.