Permettetemi una riflessione… Quando le certezze sono per anni realtà precarie…

di Menuccia Nardi

img_20171121_110313-fileminimizerLo ammetto, io sono tra coloro che usano ancora e spesso il vocabolario, sia per togliermi il dubbio sul significato di alcune parole, sia anche per capirne bene l’uso proprio – o improprio – che se ne può fare.

Oggi poi non mi sono limitata all’uso del dizionario della lingua italiana, no, ho utilizzato anche quello dei sinonimi e contrari, così, per essere sicura e non farci mancare niente. Il mio dubbio? La parola provvisorio. Leggo testualmente sul vocabolario Treccani on line al punto 1: “Che è eletto, emanato o affidato con il compito di provvedere temporaneamente alle necessità urgenti”. E al punto 2: “Che non è stabile, che potrà o dovrà essere mutato, sostituito entro un certo periodo di tempo”. E sempre su Treccani on line, ma in sinonimi e contrari al punto 1: “Interinale, momentaneo, pro tempore, temporaneo, transitorio”.

Perché tanta curiosità? Perché dopo avere imparato negli anni che esiste la targa provvisoria, che il menu di alcune mense può essere provvisorio, che alcuni incarichi sono provvisori e che in generale sono spesso provvisorie molte certezze del genere umano, molti di noi ora sanno che fino a pochi giorni fa provvisorio era anche il nostro inno nazionale. Sì, è proprio così, il nostro “Fratelli d’Italia” era stato adottato nel 1946 in via provvisoria.

L’inno ha in realtà origini più antiche, risale all’epoca risorgimentale, al 1847 per essere esatti, quando venne scritto da un giovane patriota genovese di vent’anni, al secolo Goffredo Mameli e in seguito fu musicato da un altro giovane genovese, Michele Novaro. Ma quell’inno, che tutti cantiamo con la mano sul cuore e che fra tante cose che ci dividono e ci allontanano è forse una delle poche che ci fa sentire parte di un intero (sì, come le frazioni!) è ufficialmente l’Inno Nazionale solo da alcuni giorni, da quando è stato approvato un disegno di legge di un solo articolo (e due commi) con il quale “La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli Italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro come proprio inno nazionale”.

La cosa mi colpisce perché è curioso che una delle nostre poche certezze stabili fosse sulla carta una realtà precaria. Ben venga comunque l’ufficialità dell’Inno, anche se in tutta onestà penso che fosse tale già da tempo nelle teste di molti di noi… e anche nel cuore, credo, nel mio sicuramente, che trovo sempre emozionante e quasi liberatorio il grido finale di quel “l’Italia chiamò, sì!”.

dal blog https://inostriocchisulmondo.wordpress.com/