di Menuccia Nardi
Credo da sempre che ognuno le amicizie se le scelga liberamente: in questo la vita è giusta, ti dà la possibilità di tenerti nel cuore chi vuoi. Credo anche che le amicizie che coltivi in adolescenza siano in assoluto quelle che ti rimangono dentro per sempre, in parte forse perché le vivi con maggiore intensità (e sentire tutto con intensità è probabilmente uno “status” dell’anima tipico di quella fase della vita); in parte forse perché condividi insieme tanto tempo e tante parole: pomeriggi, giornate di scuola, psicodrammi adolescenziali che a ripensarci oggi mi fanno arrossire e sorridere.
E così si rimane amiche anche dopo, dopo la maturità, quella per cui dai gli esami e quella che arriva con gli anni (e che sotto esame ti tiene costantemente).
Certo, la vita ci prova e si impegna a tenervi distanti, con il tempo – che ti manca sempre – e con lo spazio – perché non ci separano più dieci minuti d’autobus, ma ore di viaggio.
Poi un giorno, un sabato di ottobre magari, decidi che il tempo e lo spazio te li prendi. Ci diamo appuntamento nei pressi di una stazione, vicino ai treni (che sento sempre familiari, non so se perché sono spesso in partenza o spesso in arrivo). Pranziamo in un ristorante senza pretese, davanti ad un piatto di insalata di mare e a uno di verdure miste… e so in un secondo che dopo più di vent’anni siamo in sintonia come più di vent’anni fa. Gli occhi sono sempre gli stessi, i suoi e i miei (vabbè, in tutta onestà i miei ormai tendono all’astigmatismo, ma tutto sommato ci sta!).
Ci capiamo al volo, come sempre e da sempre. Parliamo ancora della scuola, ma di quella dei nostri figli e qualche psicodramma lo affrontiamo ancora, ma oggi l’esperienza e l’autoironia ci danno una mano.
Poi guardo l’ora e capisco che ne sono volate tre (ma quando sono passate?): riprendo il treno per tornare a casa (ora mi sento in partenza) e vado via pensando di essere stata fortunata ad averla incontrata, ieri e oggi… e ad averla per amica.