di Federico Caporali
Ci sono tanti modi per raccontare una storia: in modo enfatico, melodrammatico, romantico, trascendentale, iperrealista, ultraterreno; ci sono altrettanti modi per trasformarlo in un film: si può puntare sul sensazionalismo, sugli effetti speciali, su un budget milionario, su conoscenze nel mondo artistico, sulla fama, sul conto corrente; insomma, svariati percorsi durante i quali un’idea può trasformarsi in pratica. Tutto questo, però, non interessa il film che mi appresto a proporvi questa settimana: forte di una regia formatasi sul campo, questo lavoro esplora in chiave del tutto nuova uno di quegli argomenti caldi che investe il nostro paese, uno di quei capitoli della storia che molti vorrebbero negare ma una di quelle realtà che, tristemente, ancora “paga“. Sto parlando del primo film dell’autore televisivo Pierfrancesco Diliberto “La mafia uccide solo d’estate“. Distribuito dalla 01 Distribution con il sostegno della Regione Lazio e Rai Cinema questo film è una storia lunga vent’anni che viene raccontata attraverso gli occhi di un bambino, Arturo (Pif), che diventa grande in una città affascinante e terribile ma dove c’è ancora spazio per la passione e il sorriso. Palermo.
Il film è una storia d’amore che racconta i tentativi di Arturo di conquistare il cuore della sua amata Flora (Cristiana Capotondi), una compagna di banco di cui si è invaghito alle elementari e che vede come una principessa. Sullo sfondo scorrono e si susseguono gli episodi di cronaca accaduti in Sicilia tra gli anni ‘70 e ‘90. Traendo spunto dalla sua esperienza personale, Pif racconta come all’interno della sua città si viva parallelamente due tipi di quotidianità: la normalità fatta di giorni di scuola, di colazioni, di feste di compleanno e di liti in famiglia e la violenza inaudita della mafia, che, proprio negli anni della giovinezza del protagonista, in modo cadenzato, alimentava la sua lista di vittime. “Sia da bambino che da adulto, la sfida di Arturo sarà quella di confrontarsi con questo sdoppiamento del mondo palermitano, trovando le risposte giuste nel proprio cuore e nel proprio senso civile”. Lo stile utilizzato nel film è in parte lo stesso che il regista usava settimanalmente per il suo programma su Mtv, quello televisivo. “Gli argomenti, anche quelli più scabrosi e delicati, vengono trattati con un doppio registro fatto di ironia e fredda presentazione dei fatti, in una originale alternanza tra momenti comici e pugni allo stomaco”. Molti sono i momenti significativi durante la narrazione, come quello, ad esempio, quando Arturo crede che nell’appartamento sotto il suo viva un boss mafioso, poi rivelatosi un ex giornalista politico che a “causa” della sua penna troppo veloce era stato spostato allo Sport, oppure quando, per la festa di carnevale, il nostro protagonista decide di travestirsi da un personaggio da lui molto amato e che in quegli anni era molto famoso. Anche per essere il Presidente del Consiglio: Giulio Andreotti.
La quotidianità del ragazzo, come detto prima, si incrocia dunque con i sanguinosi eventi ai quali tutti siamo oramai “abituati“, come ad esempio l’uccisione di Mario Francese, giornalista del Il giornale di Sicilia che la sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo davanti la sua abitazione e per il cui omicidio vennero condannati, tra gli altri, Totò Riina, Leo Luca Bagarella, Raffaele Ganci e Bernardo Provenzano, oppure l’omicidio di Pio la torre il giorno 30 aprile 1982, fino ad arrivare all’ “epilogo” del giorno 23 maggio del 1992 quando a Capaci venne fatta esplodere l’auto di Giovanni Falcone. Questo film mette in luce come due realtà possano convivere in estrema simbiosi l’una accanto all’altra, evidenzia come il silenzio di molti palermitani sia stato dannoso ai fini della giustizia, imprime nella memoria l’altra faccia della stessa, marcescente medaglia; lo fa grazie all’occhio vigile di Diliberto che, come un vero “Testimone” ha saputo barcamenarsi all’interno di un progetto di ampie vedute, ha fatto sì che il suo stile e la sua comunicazione entrassero all’interno di quegli ambienti dove la storia è ancora mal digerita, ha messo in luce il proprio essere palermitano e lo ha fatto con arguzia, intelligenza, humor e buon senso. Che altro dire, bravo Pif, perché non solo ci hai provato, ci stai quasi riuscendo, e per un ragazzo timido come te, non è davvero poco! A buon rendere.