Cose da fare: approfittare della piscina sotto casa per andare a farsi un tuffo quando i pensieri diventano troppo sudati; chiamare la tipa della palestra per confermare il rinnovo dell’abbonamento, (non sia mai che la prestanza fisica venga meno con l’incedere dei caldi mesi estivi); smettere categoricamente di bere caffè, ma chi ci crede, solo voi che lo leggete; diminuire le sigarette, oramai non è più un’attività socialmente riconosciuta, se si smettesse sarebbe meglio per tutti, soprattutto per le finanze; la salute, beh quella, a quanto pare, in città conta meno del conto in banca; riuscire a capire l’idiozia di alcune persone ma sopratutto smettere di aspettare messaggi che mai arriveranno e cercare di evadere il più possibile da quello che ci tiene ancorati al suolo razionale della crosta terrestre. Quest’ultimo punto riflette bene il mio stato d’animo attuale, e così, seppur in conflitto con me stesso, cerco (egoisticamente) la strada più breve che mi faccia allontanare da quello che non è attualmente risolvibile. Cerco di immedesimarmi in un “giovane” esploratore assetato di leggerezza e di risposte: un piccolo, timido, incosciente ragazzo che nonostante abbia avuto le proprie esperienze sbatte ancora contro il durissimo muro della realtà. Il libro che vi presento questa settimana parla proprio di un ragazzo, che, appena ventitreenne, lascia gli studi ad Harward per intraprendere un lungo viaggio che lo porterà alla scoperta di quello che lui ha sempre desiderato di conoscere: il mondo, nello specifico il suolo americano. Come sempre, cominciamo dal principio: siamo nel 1873 e il nostro protagonista si chiama William Andrews, che, abbandonata l’agiatezza della sua casa di Boston, parte alla scoperta del West per capire fino in fondo la forma più autentica di sé stesso. Il viaggio, durato due lunghe settimane, prima in treno e poi in carrozza, lo conduce nella minuscola cittadina di Butcher’s Crossing; una volta arrivato “il giovane passeggero comincia a raccogliere dal sedile alle sue spalle i vestiti che si era tolto durante quella giornata torrida. Indossa il cappello e la giacca e ficca il panciotto e la cravatta in una sacca da viaggio che aveva usato come poggiapiedi. Solleva la sacca oltre la fiancata e con lo stesso movimento scavalca la sponda con una gamba, posando il piede su un predellino di ferro che lo aiuta a scendere dal carro”. Insomma, siamo in presenza di un gentiluomo disposto a tutto, anche a rinunciare alle sue irrinunciabili comodità pur di affrontare il suo nuovo percorso. Ed è qui che parte la morale di questo libro, disfarsi del certo per affrontare l’incerto. William Andrews prende una stanza in affitto e in men che non si dica decide di finanziare e di partecipare ad una battuta di caccia al bisonte. E così, radunato un gruppo di esperti il giovane partirà alla volta della scoperta. E’ consapevole del fatto che questo viaggio della durata di un mese lo cambierà definitivamente e soprattutto lo metterà a dura prova, ma a lui questo non importa, vuole slegarsi, staccarsi, rompere gli argini della sua giovinezza ed affrontare la vita adulta, con tutti i suoi insiemi. Nel piccolo villaggio c’è una prostituta, Francine, che si innamora di lui. Pochi giorni prima di partire conduce il giovane viaggiatore “in disparte” per spiegargli il motivo per il quale lei è così attratta dalla sua presenza: “Mi fa piacere che tu sia giovane, voglio che tu lo sia, qui tutti gli uomini sono vecchi e duri, io voglio che tu sia delicato, finché puoi”, Il giovane la rassicura che sarebbe tornato presto, ma a lei questo non interessa: “Sì, tornerai, ma non sarai più lo stesso, diventerai come tutti gli altri”. William, dopo aver riflettuto un attimo sulle parole della ragazza, con impeto e sicurezza risponde: “Diventerò me stesso e basta“. Detto questo, la lascerà nella penombra della sua stanza sapendo che la ragione sarà sempre a lei appartenuta. Il gruppo partirà e William comincerà la sua scoperta. Questo libro è il meno conosciuto dello scrittore John William, che, raggiunto il successo postumo con “Stoner” ha avuto la fortuna di essere presente in libreria anche con quest’altro romanzo che, seppur meno bello è comunque degno di presentazioni.
La scrittura è brillante, descrittiva e attenta ad ogni minimo dettaglio; seppur la lettura non sia facilissima, il lettore ha sempre ben presente il luogo in cui si trovano i protagonisti e i gesti che li contraddistinguono. Tutti i personaggi, grazie all’acuta descrizione fornita dall’autore, in breve tempo risultano familiari e sono parte integrante del mondo che ci siamo “costruiti”; sono i nostri accompagnatori mentre sprofondiamo la schiena sul cuscino appena comprato e ci suggeriscono le cose da fare anche se non ce le comunicano mai in modo diretto. Siamo come il protagonista, ad ogni pagina siamo curiosi di scoprire che cosa verrà dopo, che cosa succederà quando la luce del sole tramonterà sulle vallate per dare spazio alla gelida notte oppure se riusciremo ad arrivare in fondo a questa avventura rigenerati da quel qualcosa che da tempo volevamo conoscere. Insomma, in ultima battuta, “Butcher’s Crossing” è un libro da leggere, è un libro per tutti e nel quale tutti possono immedesimarsi; certo se sapeste già cavalcare un cavallo le cose sarebbero più facili, ma John Williams è così bravo a renderci partecipi del suo grande talento che una volta terminato di leggere questo lavoro, sono sicuro che ognuno di voi riuscirà almeno a capire come accendere un fuoco nel bel mezzo del nulla. Un libro piacevole che insegna a vivere, un libro che nonostante sia stato scritto molto tempo fa, mantiene viva quella contemporaneità a noi tanto cara pur essendo ambientato nel profondo West. Un libro da tenere sul comodino anche dopo averlo finito di leggere, perché non c’è “tempo” che termini quando un prodotto è buono. Lo sarà per sempre e per sempre sarà così. Io l’ho fatto ed ogni mattina, essendo la prima cosa che guardo non appena apro gli occhi, immagino di essere un giovane esploratore in procinto di iniziare una nuova fantastica avventura. Anche se, a dirla tutta, ho sempre avuto una micidiale paura di salire su un quadrupede e non potrei mai rinunciare a mettere lo zucchero nel caffè