L’adolescenza è come la prima fioritura di una pianta: timida ma allo stesso tempo maestosa. Credetemi, il libro che vi propongo questa settimana non ha bisogno di “interminabili” introduzioni, basta che vi riporti quello che c’è scritto in prima pagina: “A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. Siete sane, siete giovani, siete ragazze, non avete pensieri, si capisce”. Non è un libro uscito di recente e non è neanche l’ultimo best-seller che potrete trovare in offerta sullo scaffale più “comodo” della libreria. Questo libro è un inno all’adolescenza, è la storia di due ragazze che vivono la loro città spinte dagli impulsi e dai desideri appartenuti soltanto da chi ancora non ha passato quei determinati anni; prima della maturità e dopo la fase adolescenziale, ci sono loro, le ragazze di “La Bella Estate” di Cesare Pavese. Questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1949 dalla casa editrice Einaudi, parla di Ginia, una giovane operaia che lavora all’interno di un atelier e che vive assieme a suo fratello Severino, di cui si occupa come se fosse una sorella maggiore pur non essendolo: il carattere di Ginia è sempre stato aperto, solare e gioioso, durante questi mesi caldi ha l’occasione di conoscere una ragazza più grande di lei, Amelia, che lavora come modella per alcuni pittori della città. Le due, in fretta, diventano amiche: “Ginia entrò in confidenza con Amelia quando fu convinta che, per quanto così vivace, era una povera diavola. Ginia ormai lo capiva solo a guardarle gli occhi o la bocca mal truccata. Amelia andava senza calze, ma perché non ne aveva; portava sempre quel bel vestito, ma non ne aveva un altro” Parlando del suo lavoro, alle orecchie di Ginia, del tutto nuovo, Amelia la convince ad accompagnarla per vedere come vanno le cose dalla “sua parte del mondo“, e così, senza indugiare, la conduce allo studio e le presenta Guido, il pittore. E quale pittore non è incuriosito da una nuova faccia giovane, pulita e vergine: “Tenendo in mano una matita, cominciò a camminare a distanza intorno a Ginia, con la testa piegata, carezzandosi la barba, e la fissava come un gatto. Ginia, in mezzo alla stanza non osava muoversi. Poi le disse di farsi in luce, e senza perderla d’occhio, buttò un foglio sulla tela del cavalletto e cominciò a disegnare”.
Per Ginia tutto è nuovo, e come detto prima, comincia a scoprire, grazie anche all’intraprendenza di Amalia, i suoi interessi, le sue timidezze e il suo coraggio di fare cose che fino a qualche settimana prima non aveva avuto neanche l’ardire di potere pensare. Ginia si innamorerà del pittore convinta che anche lui, dopo averla privata del suo bene più prezioso, ricambi l’ innamoramento. Amalia, dal canto suo, sempre ebbra di nuove esperienze, racconterà alla sua nuova migliore amica un segreto che potrebbe cambiare il corso dei mesi più caldi dell’anno. “La Bella Estate” è un racconto che parla della formazione di una ragazza; un testo in cui l’ingenuità viene fuori a piccoli passi e con piccoli passi si manifesta. Perdere qualcosa di importante aiuta a crescere. Ma nessuno conosce il metodo per farlo. Privo di limiti ma al contempo molto razionale, questo romanzo mette in contrapposizione le storie ed i caratteri di due ragazze incoscienti e curiose che hanno fatto della loro giovinezza la loro arma più potente. Sono davvero in imbarazzo a scrivere di questo libro, e non perché non voglia, ma perché non posso. Si potrebbe ragionare e conseguentemente scrivere molto su Pavese, ma non posso farlo. Questo libro è un pezzo di quella letteratura italiana che tutti dovrebbero leggere. Dovunque voi andiate, portatevelo dietro. E’ leggero e non occupa molto spazio. Ma solo all’apparenza. Gli altri non vedranno che nella vostra borsa è custodito un qualcosa che potrebbe (e dico potrebbe) farvi riconsiderare il fatto che, nonostante i tempi siano cambiati e i “giovani” siano sempre meno legati agli ideali di una volta, la giovinezza è una cosa unica che va vissuta fino all’ultimo giorno, soprattutto perché nessuno è a conoscenza di quando finirà. “C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore, che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti, lo fa per mordere più risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere, solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti”.