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“Il cieco e la ballerina”

di Federico Caporali

Sappiamo quello che succede nell’altro capo del mondo ma non ricordiamo di che colore sono i gerani del nostro dirimpettaio, conosciamo a memoria lo schema d’azione di una presunta squadra sportiva ma non riusciremmo mai a ricordare l’esatto numero di scarpe che sono custodite all’interno del nostro armadio; sappiamo tutto degli altri ma non riusciamo a concentrarci mai su quello che riguarda noi stessi; è ironico, davvero, pensare a come le tante micro-realtà che ogni giorno lasciano un segno nel nostro tempo, vengano incredibilmente rese invisibili dalle nostre selezioni e dai nostri filtri. Sì, scegliamo di vedere solo quello che vogliamo vedere, ma questo non è necessariamente un male, bensì una protezione, perché tante sono le cose che, se allontanate, fanno stare meglio, non si può pensarla diversamente; così, ebbro di nostalgia e di autentica cattiveria, mi appresto a presentarvi il libro che ho scelto per voi questa settimana: un lavoro che non vi permetterà di chiudere i conti con il vostro passato, uno scritto che penetrerà all’interno dei vostri pensieri stravolgendo le vostre convinzioni fino a tal punto da farvi sentire in colpa e un pochino inadeguati. L’inadeguatezza dell’uomo moderno è cosa nota, ma questa è una forma di disagio che in tanti e tanti modi si può manifestare: con la rabbia, con il cibo, con il dolore, con il distacco, con la repressione, con l’amore, con l’allontanamento forzato da qualcosa che vorremmo non lasciare mai oppure da un mondo che a noi non è congeniale ma che nonostante tutti i suoi eterni difetti  (e inconcludenze) dobbiamo vivere per sopravvivergli. Anche se questo è tecnicamente impossibile. Come dicevo all’inizio, siamo allegramente inconsapevoli che dall’altro capo del mondo possano esserci tante altre storie e tanti altri “presenti perfetti” che conducono una vita propria e a sé stante, imperativa e in-giustiziera: le storie raccolte nel libro di Joao Gilberto Noll “Il cieco e la ballerina“. Ho allungato molto questa introduzione poiché l’argomento trattato in questo libro è davvero di dominio pubblico ma troppo delicato per affrontarlo così, a cuor leggero. Ogni capitolo parla di un racconto di un’essere umano dotato di sentimento. Quello vero.  Credo che questa  sia la sintesi efficace per togliermi di torno il problema della trama, poi, per conoscere meglio i personaggi, quale modo migliore per farlo se non quello di citare i passi delle diverse “avventure“. Partiamo dunque dalla prima, quella di un padre e di un figlio che ancora non è capace a leggere: “Durante i miei primi anni di vita nacque in me il gusto per l’avventura. Mio padre mi diceva di non conoscere esattamente il perché dell’esistenza e cambiava in continuazione il lavoro, donna e città. La caratteristica più evidente di mio padre era la mobilità, si considerava un filosofo senza libri con una sola fortuna: il pensiero. Quando imparerai a leggere sarai padrone di tutte le cose. Compreso te stesso”. La storia del ragazzo, unita a quelle di tutte gli altri di cui andremo a parlare, sono tristi, al limite della sopravvivenza, crude, indignate, egoistiche e messe a dura prova da quella stessa vita di cui parlavo nell’introduzione. Una vita che, seppur ingiusta e incompleta, non è mai priva di un sentimento nobile e determinante; quello, in questo caso, del sangue.  Ma andiamo avanti, nel secondo capitolo abbiamo di fronte la nostra nostra “nuova” storia, che comincia, come la precedente, in medias-res, senza un inizio e privata, alla fine, di una fine. Troviamo due bambini che devono raggiungere la strada per Encantado prima che faccia notte, due bambini piccoli, appena undicenni che a piedi marciano per arrivare ad una meta; due ragazzi, solo due piccoli ragazzi: “La bambina era vestita di blu, il bambino di giallo, una volta arrivati ad Encantado il bambino l’avrebbe piazzata nella Obala del Sindaco e non l’avrebbe mai più rivista. Non gli piaccio, pensò la bambina piena di astio. Probabilmente starà pensando che il mondo dovrebbe esser fatto solo di uomini e che le bambine sono delle scocciatrici. Il bambino sputò sulla sabbia asciutta. La bambina calpestò la saliva e fece così con il piede per cancellare lo sputo“. Dei due non si sa nulla,  né da dove vengano né dove saranno dirette le loro strade: sembrano odiarsi, e questo odio tra di loro non comprende neanche un chiamarsi per nome; sono soli, lasciati anche loro a marciare per arrivare alla meta. Ma non a quella finale. Sembrano odiarsi, ma andando avanti con la lettura, raggiungendo con il fiato corto un agognato lieto fine, scopriremo che non è così, affatto: “Quando la macchina cominciò a muoversi, disse a bassissima voce: Adesso mi volterò e lo guarderò con una faccia schifata, proprio così, adesso lo farò. E lo guardò. Ma il bambino sorrideva. E la bambina non resistette, e sorrise pure lei. Ed entrambi sentirono lo stesso groppo nel petto”.

L'autore Joao Gilberto Noll

Andando ancora avanti si parlerà di donne, stavolta quelle vere e formate; donne innamorate, donne carnali, donne in preda al panico mentre osservano i loro uomini oppure  mentre si accarezzano i gonfi ventri riempiti pian piano da figli che non desideravano avere. Protagoniste assolute dei loro sentimenti, mettono nero su bianco tutta la loro voracità intellettuale unita al ricordo maniacale di colui che le ha rese schiave morali. Innamorate: “E allora si accorse che lui era bello, così bello che avrebbe potuto appartenere a qualsiasi razza, se ben nutrita. E parlava con parole così dolci che lei pensò Forse mi sto innamorando. Mentre il ragazzo si lavava le mani lei pensò di nuovo Forse mi sto innamorando. Il ragazzo parlava con parole così dolci che non aveva neanche bisogno di parlare“. “Il cieco e la ballerina” è un libro intenso, selettivo e sentimentale. Tutte le storie, pur avendo una lunghezza massima di dieci pagine, raccontano per intero una vita, o quasi. I personaggi sono contorti, complessi, intricati, scandalosi e “spaventati”, dotati di quella fragilità che non si scompone, che non aspetta e che non si scalfisce. Quella fragilità che racchiude in se tutte le aspettative e tutti i desideri degli esseri umani. Un libro positivo? No, affatto. Direi piuttosto riflessivo, intelligente ed ingiusto. A tratti verbalmente spinto,  è vero, ma le grandi sensazioni devono avere una trascrizione letteraria conforme al proprio sentire. “Un giorno sei arrivato, ti sei seduto sul letto, ti sei tolto le mutande e hai detto che mi desideravi. Io mi trovavo nel settimo sonno, in fondo ad un sogno dove c’erano due ragni enormi e mi presi uno spavento, e tu, con la tua mania di dire E’ sempre così, quando voglio una cosa non la vuoi tu, ma non è che io non volessi o avessi smesso di volerlo, è che stavo ancora sognando quei ragni giganti. Se io mi disperassi, tu mi faresti internare e per il resto dei miei giorni avresti una scusa per abbandonarmi, ed io non vorrei darti questa scusa, vorrei che tu ti arrendessi e ti trasformassi in un uomo come quello del libro, gentile, amico, compagno, amante”. Personalmente ho apprezzato molto questo libro, soprattutto perché invece di ruotare attorno all’argomento lo colpisce dritto in pieno centro. Dritto al cuore di una sostanza fatta di parti. Parti comuni che difficilmente riusciranno ad incastrarsi. A meno che non siate voi stessi a forzarle.

 

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Roberta Sciamanna
Roberta Sciamannahttps://inliberauscita.it
Giornalista Pubblicista, laureata in Scienze della Comunicazione presso La Sapienza di Roma, iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti dal 2004. Ha lavorato per "La Provincia", "Latina Oggi", "Il Granchio", "Reporter News"

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