“Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?”.
Ho pianto tutte le lacrime che avevo nel cuore, (scorri le foto per avere la prova!)erano lacrime di compassione, di chi ha il desiderio di abbracciare un amico e dirgli:”so come ti senti.”
Paolo Cognetti, con “Le otto montagne” edito da Einaudi, ci regala un inno all’amicizia, alla costruzione lenta, minuziosa e comprensiva dei rapporti. La grande metafora è la montagna che fa da cornice al romanzo, così imponente, silenziosa, a tratti fragile ma disarmante per tutto quello che riesce a donarti se sai cogliere lo spirito delicato e impetuoso dei boschi, della neve, degli animali, del tappeto di stelle e la luce abbagliante della luna.
Pietro e Bruno crescono come fratelli, ma per Bruno la montagna non è solo casa, ha a che fare con qualcosa di più ancestrale, lui è la montagna.
Pietro viene dalla città ma senza fatica riesce ad amalgamarsi con questo habitat, merito del papà, Gianni, che lo ha sempre portato con lui tra le creste scoscese.
È un romanzo che racconta dei rapporti umani, delle perdite, della famiglia e di quanto anche sei silenzi ci si riconosca e ci si rispetti se abbiamo imparato ad ascoltarli quei silenzi.
Bruno è la montagna di Pietro.
Pietro è la montagna di Bruno.
Pietro gira le otto montagne, Bruno scala il monte Sumeru. Sembra piccola la differenza ma è abissale.
Una casa lasciata in eredità da papà Gianni, la condivisione, la generosità negli intenti e questa voglia di avventura che pervade Pietro e le radici di Bruno.
Se ho amato questo libro? Fino al midollo.
Se ve lo consiglio? Con tutta me stessa.
“È nel ricordo il più bel rifugio”.