“Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero.”
Ho letto questo libro tanti anni fa, l’ho consigliato a non so quante persone, ma non l’ho mai recensito, per dimenticanza o forse perché attendevo il momento giusto.
Donatella Di Pietroantonio con “L’Arminuta”, Einaudi, ha nel tempo sostituito un’altro mio grande amore, Margaret Mazzantini, due donne che hanno la facoltà umana di raccontare le vicende più oscure dell’anima, di fartene assaporare i sentimenti e i taciuti dolori.
L’Arminuta è un gran libro, un libro che racconta non l’abbandono ma la scelta dolorosa di dare in prestito una figlia e vederla un giorno tornare come fosse una sconosciuta.
Arminuta: ritornata. Non avrà un nome, sarà per tutte le pagine l’Arminuta, perché probabilmente per tutta la vita è così che si sentirà. Sono due i personaggi che mi hanno strappato il cuore: la mamma biologica, apparentemente rude, insensibile e distaccata ma che man mano che storia si districa ci dimostra con piccoli gesti e brevi parole quanto dolore e quanto amore e quanta forza contenesse. E poi c’è Adriana, questa sorella più piccola che diventa l’unica certezza, caposaldo e famiglia.
Toccante, colmo di riflessione, un libro che racconta uno spaccato sociale non così distante da noi, ma soprattutto racconta i legami indissolubili e quelli che si costruiscono giorno per giorno dalle macerie.