“Volevo essere onesto a ogni costo e questo ha fatto riaffiorare una gran quantità di pensieri come, credo, ne abbiamo tutti in qualche recesso dell’anima, ma ai quali è meglio non dare importanza.”
Georges Simenon con La porta(Adelphi) ci racconta di Bernard Foy, un uomo la cui vita è segnata dalla guerra che lo ha reso privo di braccia, perse su una mina.
Nelly, sua moglie, ha ribaltato i ruoli che in quegli anni sembravano essere ben inquadrati, è lei ad uscire di casa per recarsi al lavoro, per sbrigare piccole faccende ed è lei ad avere una vita ben più movimentata del marito.
Bernard rimane in casa, per scelta, forse per paura di assaggiare una ventata di aria fresca, per paura di permettersi il gusto di spostare l’attenzione su altro che non siano le sue ossessioni.
Quello che accade dietro la porta di casa, all’interno della coppia è un segreto che Simenon riesce a svelare andando ad indagare senza troppi vezzi, cosa accade nelle psiche umana.
Quello che accade dietro ogni porta, fisica e metaforica, Simenon riesce a raccontarcelo con quel fare indagatore che da sempre, con Maigret, ci accompagna.
Gelosia, comunicazione trattenuta e sincerità disarmante per provare a tenere a bada quei tarli che diventano sempre più insistenti.
“Ti amo Nelly”, “Ti amo Bernard”, come riconciliazione anche davanti alle confessioni più scomode.
Rimane un sentore, quei campanelli d’allarme che ogni tanto si accendono e quelle percezioni spesso diventano verità.
Davanti al negato, davanti alla bugia, come ci si salva quando si viene scoperti?