“Il mio nome è Balbir’” il libro di Marco Omizzolo e Balbir Singh

Nell’Agro Pontino, Balbir ha lavorato in condizioni di schiavitù per una retribuzione che variava tra i 50 e 150 euro al mese.

Almeno sedici ore al giorno, sette giorni alla settimana, 365 giorni all’anno, il tutto moltiplicato per sei anni. A soli ottanta chilometri da Roma, nell’Agro Pontino, Balbir ha lavorato in condizioni di schiavitù per una retribuzione che variava tra i 50 e 150 euro al mese. Per mangiare, rubava il cibo che il padrone italiano gettava alle galline e ai maiali. Un inferno vissuto in un Paese democratico che afferma di essere fondato sul lavoro. Balbir ha però deciso di non rassegnarsi e di ribellarsi, di combattere per la sua e la nostra libertà e dignità, rischiando la vita più volte. Lui è Balbir Singh, un bracciante indiano, e questa è la sua storia.

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