“Una persona diversa cresce dentro di me, mi divora.”
“Perché tutto in me diventa appuntito? Che cosa intendo trafiggere?”.
Se è vero che l’altro ci parla di noi, leggendo La vegetariana di Han Kang(Adelphi) ci accorgiamo di come il racconto, basato su punti di vista trasversali e non personali, tiri fuori l’insondato di colui o colei che sta narrando i fatti.
Forse racconta anche qualcosa di noi che li leggiamo.
La vegetariana non è solo il racconto di un disturbo alimentare radicato, ma di cosa si nasconde dietro questo gesto estremo. L’assenza di nutrimento che porta quasi all’ascetismo per andare a curare una ferita tanto dolorosa da sentire il bisogno di scomparire e diventare cenere.
Usare il corpo come scudo, tanto si fa appuntito, avere la forza di obiettare e dimenarsi nonostante le flebo, scoprire che è più il bisogno di non esistere che quello di continuare a farlo.
È un dolore sordo, che prova a urlare nel silenzio del digiuno, tutto intorno sembra pura assenza ma tutto intorno risuona dentro come un martello pneumatico.
Non importa se le persone che ci amano sono preoccupate, se hanno paura, se provano a distoglierci da quell’obiettivo, tutto ciò che conta è diventare aria per sentirsi finalmente leggeri e non dover più portare quel dolore nel petto.
Chi osserva e chi è accanto si dispera, ma pone in luce altri disagi che hanno l’odore di polvere e muffa, talmente da tanto tempo erano rimasti sopiti. Ecco quindi che il tormento e la malattia di Yeong-hye riflette il dolore del marito, del cognato e della sorella.
Vuole solo diventare un albero, vuole solo inumidire le sue radici, vuole solo che dal seno escano fiori e dal cuore tanto sole.
*Io non so quanto possa essere indicato per chi attualmente sta combattendo la sua battaglia, alcune scene sono molto esplicite e se potete mettervi al riparo, fatelo, ci sarà tempo per aprire queste pagine.
Sono con voi.