“Non sono mai stata felice. Forse sulle mie spalle grave perennemente un’anima tormentata che mi si aggrappa alla gola e alle membra?”
Ho già espresso il mio amore per questa autrice, Han Kang, un amore frutto di una lettura intensa, mai banale e rigogliosa di significati allegorici.
Nonostante la mole di libri che giace sul mio comodino in attesa di lettura, ecco arrivare un dono,”Convalescenza”, edito da Adelphi e senza sottrarmi, l’ho ingollato come cibo sopraffino.
Han Kang continua a narrare i traumi, qui racconta proprio la sofferenza, in un dittico che ha come protagoniste due donne e a parlare di loro sono prima una sorella e poi un marito.
Due donne che sono chiuse nel loro silenzio, in quel dolore che picchietta come goccia cinese ogni giorno, il lavorio interiore che scava, lambisce le viscere e si trasforma.
A parlare è il corpo, usato come cartina geografica dei sentimenti e di tutto l’inespresso, un corpo che seppur mutilato dalla sofferenza trova la forza di mutare.
Solo così chi osserva, ovvero un lettore attento, può intuirne il dialogo silenzioso, attraverso le cicatrici, o i lividi che a mano a mano coprono il corpo.
Tutto questo nasconde un’infelicità e la prova di resistenza a cui si viene chiamati non è soccombere ma come in una fiaba trasformarsi in altro.
Nel primo racconto la trasformazione è la morte, nel secondo, come fu per “La vegetariana” è diventare albero.
L’abnegazione del sè che cela l’intimo desiderio di esistere.