Sulla questione delle concessioni balneari, il governo Meloni, sta dimostrando, senza provare minimamente a nascondersi, di essere al servizio della lobby dei concessionari e di non avere nessun interesse a garantire la concorrenza e di conseguenza i consumatori. Ne è dimostrazione, che dopo aver taroccato i dati sulle spiagge libere da mandare in Europa che porterà alla concessione e quindi alla quasi scomparsa di quest’ultime, alla fine dello scorso anno, a seguito di una proposta della Lega, il governo Meloni ha persino deciso uno sconto del 4,5% sui già ridicoli canoni annui, per i balneari. Per rendere più chiaro di cosa stiamo parlando è utile fare due conti in tasca alla categoria. Secondo i dati ufficiali, in media, i concessionari pagano allo Stato un canone annuale di 7600 euro a fronte di un fatturato dichiarato di 260mila euro. Dato, quest’ultimo che diamo per buono, pur sapendo che in Italia c’è qualche sparuto imprenditore che, per disorientare il Fisco, usa una fatturazione un po’, per così dire, sparagnina. Comunque, in pratica gli incassi per lo Stato sono sostanzialmente trascurabili rispetto alla ricchezza che la fruizione dei beni demaniali produce per i concessionari, eppure a fronte di costi così esigui, ogni anno i costi degli ombrelloni e delle altre attrezzature seguitano a salire. Ora dovrebbe apparire chiaro a tutti che questo sistema non è economico, né per lo Stato né per i consumatori, e quindi è assolutamente necessario riformare il settore. L’Europa, com’è risaputo, in questo ambito, ha emanato la direttiva Bolkestein, che ha come obiettivo quello di garantire la concorrenza nell’utilizzo dei beni demaniali. Questo si è reso necessario perché nel nostro Paese non esiste un meccanismo di adeguamento dei canoni in relazione alla redditività degli stabilimenti. Ora, per sgomberare il campo dalle solite obiezioni sollevate dai tifosi di questo o quello schieramento, bisogna dire che non si è obbligati a seguire per forza una linea che faccia tabula rasa degli investimenti finora fatti da ogni singola società che gestisce una concessione balneare ma bisognerà necessariamente trovare un meccanismo che garantisca, da un lato che lo Stato, e quindi la collettività, incassi il giusto, e dall’altro che all’interno di una gara europea sui singoli tratti demaniali vengano anche presi in considerazione gli investimenti certificabili effettuati dagli attuali concessionari. Ma una cosa è certa, il sistema non può andare avanti così anche perché non si può seguitare a pagare le multe che l’Europa ci fa per non aver garantito la concorrenza del settore, che ovviamente vengono pagate coi soldi dei contribuenti, per garantire gli interessi di un numero ristretto di imprenditori del settore e per continuare, poi, ad incassare cifre che somigliano più a dei diritti feudali che a dei veri e propri canoni di locazione. Un’ultima considerazione poi va fatta nei confronti dei comuni che per procrastinare i problemi, e, forse, anche per non scontentare la dinastica lobby dei balneari, hanno deciso, in fretta e furia, di prorogare lo status quo per tutto il 2024; bene, per questi comuni si preannuncia un’ondata di ricorsi da parte di chi sarebbe interessato ad entrare in questo tipo di mercato, quindi chissà se alla fine la loro scelta si rivelerà davvero oculata ed economica, anche perché, qualora si dimostrasse il contrario, la Corte dei Conti potrebbe persino agire per danno erariale.
Roberto Alicandri