Possibile misurare la temperatura del lavoratore solo nel rispetto della privacy

In tempo di emergenza da Corona-Virus sono sempre di più le aziende che impongono ai lavoratori la misurazione della temperatura corporea per impedire l’accesso a chi risultasse con un valore superiore ai 37,5°. Si tratta di una procedura, tra l’altro, raccomandata dal Protocollo per la sicurezza predisposto dalle parti sociali per prevenire la diffusione ed il contagio del Covid-19 nei luoghi di lavoro, che, se pure non obbligatoria, appare senza dubbio consigliabile, attese le prescrizioni generali dell’articolo 2087 del codice civile, ai sensi del quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Tuttavia, va ricordato che la rilevazione in tempo reale della temperatura costituisce un trattamento di dati personale e che, pertanto, va effettuato nel pieno rispetto della normativa sulla privacy.

A tal fine, dunque, i datori di lavoro dovranno predisporre procedure tali che impediscano la registrazione del dato acquisito, lasciando la possibilità di identificare l’interessato e di trascrivere il superamento del valore predetto, solo ove ciò sia necessario per documentare le ragioni che ne hanno impedito l’accesso in azienda.

Come per ogni altro trattamento di dati personali, anche la misurazione della temperatura richiede il rilascio di una idonea informativa al soggetto interessato, nella quale potranno essere omesse le informazioni di cui il lavoratore è già in possesso, ma che dovrà fornire indicazioni precise sul trattamento in commento.

L’informativa potrà essere rilasciata anche oralmente, ma è bene ricordare che una simile forma presta il fianco alla difficoltà per il datore di lavoro di soddisfare l’onere della prova in merito all’avvenuto adempimento.

I contenuti dell’informativa – Quale finalità del trattamento, nell’informativa potrà essere indicata la prevenzione dal contagio da Covid-19, mentre con riferimento alla base giuridica potrà essere indicata l’implementazione dei protocolli di sicurezza anti-contagio ai sensi dell’art.1, n.7, lett. D) del DPCM 11 marzo 2020.

Per quanto riguarda la durata dell’eventuale conservazione dei dati si potrà menzionare il termine indicativo della cessazione dello stato di emergenza.

La sicurezza del dato – Come per ogni altra tipologia di trattamento, anche in questo caso il datore di lavoro deve approntare misure di sicurezza ed organizzative che garantiscano la protezione dei dati dei soggetti interessati.

Sotto il profilo organizzativo dovranno essere individuati i soggetti predisposti alla misurazione della temperatura e quelli incaricati alla gestione dei dati connessi, fornendo loro tutte le indicazioni necessarie per il rispetto della normative sulla privacy. A tal fine, va ricordato che i dati suddetti possono essere trattati esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da Covid-19 e non devono essere diffusi o comunicati a terzi al di fuori delle previsioni normative, come, ad esempio, in caso di richiesta da parte dell’Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali “contatti stretti di un lavoratore risultato positivo al Virus.

Nei casi di isolamento momentaneo del lavoratore al quale sia stato riscontrato il superamento della soglia dei 37,5° corporei, dovranno essere predisposte modalità operative che siano in grado di garantire la riservatezza e la dignità del dipendente. Le stesse garanzie dovranno essere assicurate anche nel caso in cui il lavoratore comunichi all’ufficio del personale di aver avuto, al di fuori del contesto aziendale, contatti con soggetti risultati positivi al Covid-19 e lo stesso dovrà avvenire per l’allontanamento del dipendente che durante l’attività sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria, nonché quello dei suoi colleghi.

Dott. Valerio Pollastrini, Consulente del Lavoro

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