Di Marco Omizzolo
A volte le mafie, la corruzione e il malaffare si possono osservare leggendo semplicemente il ruolo di comparizione di un Tribunale. Esso può essere la sintesi perfetta di un sistema criminale in fase di giudizio che racconta, meglio di molte inchieste e indagini, il clima, gli affari sporchi e gli interessi politici di un territorio. Accade ad esempio a Latina. Il 20 ottobre scorso, sulla bacheca esterna della sezione che giudica nell’aula della corte d’Assise del Tribunale di Latina, l’unica attrezzata per i videocollegamenti, viene affisso il relativo ruolo. Lo si poteva leggere facilmente e sarebbe risultato immediatamente evidente ciò che significa criminalità nella seconda provincia del Lazio, ad appena cento chilometri da Roma.
La prima causa all’esame del collegio è il processo Arpalo nel quale si contestano, a vario titolo, reati economici. Si cerca soprattutto di risalire ai responsabili di un maxiriciclaggio legato al Latina Calcio, negli anni in cui la squadra militava in serie B. La città pontina festeggiava quasi ogni domenica la marcia trionfale della sua squadra di calcio, eppure dietro quei trionfi c’era il marcio di un sistema criminale che produceva soldi, corruzione e violenza, mentre mortificava il diritto e la democrazia. Il primo e più prestigioso dei molti imputati è Pasquale Maietta, commercialista, copresidente della As Latina Calcio nel periodo cui risalgono i fatti contestati, nonchè ex assessore al bilancio del Comune di Latina ed ex deputato, con incarico di tesoriere, per Fratelli d’Italia. L’inchiesta è del 2015 e comincia seguendo una segnalazione sospetta dell’Ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia. Partono così le prime intercettazioni tra le quali a Maietta che, poco dopo, viene a conoscenza dell’inchiesta a suo carico per una soffiata investigativa. In Arpalo sono imputati molti esponenti del Latina Calcio, al tempo legati allo studio professionale del commercialista pontino nato e cresciuto dentro Alleanza Nazionale e famoso per i molti voti accumulati nonchè per l’amicizia mai rinnegata con Costantino Di Silvio detto Cha Cha, considerato nel mondo criminale un uomo degno di “rispetto”. Cha Cha ha numerosi procedimenti giudiziari in corso ed è stato già condannato in via definitiva a dieci anni di reclusione nel processo “Don’t Touch”, in cui è stato ritenuto al vertice di un’associazione per delinquere impegnata per anni a Latina nelle estorsioni, nei prestiti usurai, nello spaccio di droga e negli investimenti con capitali sporchi. Un criminale di seria A, insomma. In Arpalo si analizza la nascita e la repentina morte di decine di cooperative create appositamente per il riciclaggio ma si scandaglia anche altro, tanto che a dibattimento già iniziato la pubblica accusa ha integrato la sua lista testi coi pentiti del clan Di Silvio, ossia Agostino Riccardo e Renato Pugliese, quest’ultimo figlio di Cha Cha Di Silvio e collaboratore di giustizia da dicembre del 2016. I due saranno sentiti nelle prossime udienze e solo allora si comprenderà cosa ci fanno due membri del clan dentro un processo per reati economici.
Sarebbe bastato il processo Arpalo e i suoi imputati, illustri e temutissimi, a saturare il ruolo di un Tribunale piccolo come quello di Latina. Invece no: lo stesso giorno davanti allo stesso collegio si è discusso di un altro processo importantissimo, quello per turbativa degli incanti al Comune di Sperlonga che a gennaio del 2017 portò in carcere Armando Cusani, già Presidente della Provincia di Latina e attuale Sindaco di Sperlonga, uno dei borghi più belli d’Italia eppure aggredito dall’abusivismo edilizio e da scandali come questo, appunto. Il processo si chiama Tiberio dal nome dell’imperatore che amava quella roccia bianca a picco sul mare. Tiberio è anche il nome dell’hotel costruito da Cusani e oggetto di un altro processo costato la sospensione ex legge Severino allo stesso Cusani quando era presidente della Provincia. Siccome davanti a quegli abusi il Comune si mostrò piuttosto tiepido, iniziò una verifica su eventuali omissioni che fece emergere un sistema di turbativa d’asta in cui erano invischiati anche funzionari e imprenditori locali, tra cui il capo dell’urbanistica dell’epoca al Comune di Sperlonga.
Con una simile accoppiata giudiziaria la partita a poker in Tribunale si sarebbe potuta esaurire. Invece no: sempre nel medesimo ruolo e ancora davanti allo stesso collegio era chiamato un procedimento a carico di Gianni Micalusi, conosciuto al mondo come Johnny, il ristoratore di Terracina amato dai vip dello spettacolo e del calcio per le cene a base di pesce che serviva nel suo ristorante romano. Nel maggio 2017, il noto ristoratore venne arrestato con l’accusa di riciclaggio, autoriciclaggio di denaro di provenienza illecita e intestazione fittizia di beni, poi condannato nel 2019, in primo grado, a 8 anni e 9 mesi di reclusione. Pare che proprio nel suo ex ristorante romano Alberto Dell’Utri, intercettato, avesse parlato della possibile fuga all’estero del fratello, l’ex senatore Marcello, fondatore di Forza Italia.
Tre processi delicatissimi, nello stesso Tribunale, davanti allo stesso collegio, nello stesso giorno. Nessun altro documento come quel ruolo affisso al Tribunale di Latina può dimostrare le incrostazioni criminali della provincia pontina: abusivismo e reati economici mixati con incursioni nel mondo della criminalità organizzata. E il bello, o il brutto, è che tutto questo passa inosservato perchè non scandalizza più nessuno.
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