La legge 214/2011 che ha convertito il decreto legge 201, meglio conosciuto come Decreto Salva Italia o Manovra Monti-Fornero, ha apportato alcuni significativi cambiamenti al testo precedente, soprattuttoin tema di accesso al pensionamento per coloro che sono ad un passo dal sospirato traguardo. Si conferma anzitutto l’attuazione della normativa ancora vigente per tutti quelli che maturano il diritto al pensionamento entro il 31 dicembre 2011, seppure le finestre di accesso alla pensione dovessero aprirsi successivamente a tale data. In merito sottolineiamo che è inutile chiedere all’ente previdenziale la certificazione al diritto, poiché la vera garanzia di ottenimento della pensione sta nel fatto di aver maturato i requisiti. La certificazione rimane lettera morta e il solo scopo della richiesta è quello di ottenere l’estratto contributivo certificativo, vale a dire ufficiale, da parte dell’ente, contenente tutto il curriculum contributivo del lavoratore in forma certificata.
Detto questo ricapitoliamo, in sintesi, quello che succederà dal 1° gennaio: le novità più importanti riguardano l’abolizione delle finestre di decorrenza per tutti quei lavoratori che matureranno i diritti per la pensione a partire da tale data, e l’eliminazione della finestra mobile introdotta appena un anno fa dal Governo Berlusconi. È abolito anche il posticipo di un anno del pensionamento dei lavoratori del settore scuola che potranno andare in pensione il 1° settembre dello stesso anno della maturazione dei requisiti, anche se questi siano perfezionati dopo il 1° settembre stesso, purché ciò avvenga entro il 31 dicembre dello stesso anno. Ribadiamo anche che il calcolo della pensione sarà contributivo per tutti, si baserà sulla contribuzione effettivamente versata e non più sulla retribuzione effettivamente percepita, anche per coloro che maturano i requisiti entro quest’anno: per questi ultimi il calcolo della loro pensione sarà retributivo o misto fino al 31 dicembre e contributivo dal 1° gennaio fino alla vigilia della pensione. Si conferma l’accesso alla pensione di vecchiaia con 66 anni di età sia per i lavoratori dipendenti e autonomi, sia per le donne del settore pubblico, mentre le donne del settore privato si adegueranno al resto dei lavoratori progressivamente, passando dagli attuali 60 anni ai 62 nel 2012 se dipendenti e 63 e 6 mesi se autonome, salendo fino ai 66 anni nel 2018. Dobbiamo però tener conto in tutto questo discorso che l’età anagrafica aumenterà in base all’adeguamento alla speranza di vita, che vedrà un incremento di 3 mesi già nel 2013 e che dal 2019 avverrà a cadenza biennale. La novità più consistente, come dicevamo all’inizio, riguarda i lavoratori che avrebbero maturato il diritto al pensionamento nel 2012 con le regole in vigore nel 2011: sono i lavoratori del settore privato nati nel 1951 e nel 1952, che compiranno rispettivamente 61 e 60 anni nel 2012. Costoro si sono visti sfumare la pensione per un soffio, poiché la manovra ha posticipato beffardamente il loro diritto anche di sei anni. Il Governo ha pensato quindi di porvi rimedio con l’art. 15 bis della Legge 214, permettendo a chi maturerà almeno 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2012, di conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento di un’età anagrafica non inferiore a 64 anni; ciò significa che questi lavoratori non dovranno né aspettare di raggiungere 42 anni e 1 mese di contributi se uomini o 41 e 1 mese se donne (tale è il requisito della pensione anticipata, non tenendo conto degli adeguamenti alla speranza di vita che influiscono anche sul requisito contributivo), né dovranno attendere 66 anni di età (altri sei anni di attesa) e percepire la pensione di vecchiaia. L’attesa in sostanza è di 3 anni se nati nel’51 e 4 anni se nati nel ’52. A nostro avviso il torto è comunque fatto e non è affatto lieve, soprattutto se si considera che il calcolo di pensione dal 1° gennaio sarà contributivo: un danno economico di non piccola entità. La seconda novità riguarda le donne del settore privato che, grazie alle correzioni apportate con la Legge 214, possono conseguire la pensione di vecchiaia a 64 anni se matureranno almeno 60 anni di età e 20 anni di contributi entro il 31 dicembre 2012. Qui la convenienza si gioca sul filo del rasoio, fermo restando, infatti, il raggiungimento dei 20 anni di contributi e il compimento di 60 o 61 anni di età nel 2012, la metà più vicina è la seguente: nel 2013 possono conseguire il trattamento di vecchiaia con 62 anni e 3 mesi, nel 2014 e nel 2015 con 63 anni e 9 mesi e solo nel 2016 con 64 anni, sfruttando la salvaguardia permessa dalla correzione al decreto, invece dei 65 e 7 mesi come previsto probabilmente con l’adeguamento alla speranza di vita. Un discorso a parte, invece, va fatto per l’assegno sociale, meglio conosciuto come pensione delle casalinghe: la manovra non tocca per il 2012 questa prestazione, ma già nel 2013 con l’aumento dell’aspettativa di vita pari a 3 mesi, l’età per ottenere questa pensione sarà appunto di 65 anni e 3 mesi. Ulteriore aumento si avrà nel 2016 con altri 4 mesi e nel 2018 quando l’aumento, come previsto dal comma 8 dell’art. 24 della Legge 214, sarà di un anno: serviranno perciò probabilmente 66 anni e 7 mesi nel 2018 per il conseguimento di questa pensione, meta ambita da tutti quei soggetti che non possono usufruire dell’anzianità contributiva perché insufficiente o perché non hanno potuto mai versare alcun contributo (o non hanno avuto alcun versamento da parte del datore di lavoro). L’innalzamento dell’età pensionabile proposto dalle varie riforme del 2011 e da quest’ultima manovra ha come obiettivo finale, tra l’altro, il raggiungimento della soglia standard fissata a 67 anni nel 2021 e in un futuro neanche tanto lontano (ci spingiamo fino al 2050) il conseguimento previsionale del fatidico traguardo dei 70 anni, già auspicato da Berlusconi qualche tempo fa e di gran lunga superiore all’età media degli altri paesi europei che abbiamo preso inizialmente come esempio da perseguire.